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Memorie di un cacciatore

Memorie di un cacciatore

Il villaggio contadino di Kolotovka è posto sul pendio di una nuda collina spaccata da cima a fondo da un burrone spaventoso che divide le due parti del povero villaggio. Su di uno dei fianchi del burrone si leva una piccola casupola di forma quadrangolare e con un tetto di paglia. Si tratta di un’osteria che è soprannominata “Pritinni” ed è gestita dal bettoliere Nikolàj Ivanic’, uomo accorto e abile nell’attirare e trattenere la clientela. Tormentato dalla sete di una giornata di luglio insopportabilmente calda, egli si dirige subito verso la bettola. Quando varca la soglia trova al suo interno una numerosa compagnia di persone che si è radunata per assistere ad una gara canora tra Jaska-Turok, un giovane contadino di ventitré anni dall’aspetto spavaldo ma di costituzione magra e apparentemente cagionevole, e Zisdra, anch’egli contadino sulla trentina di alta statura e corporatura nerboruta che si è arricchito con la mercatura. Attorno a loro una varia mescolanza di tipi umani, tra i quali si distingue la possente figura di Diki-Barin, largo di spalle e di zigomi, con un’espressione del volto quasi feroce, che lascia tuttavia intuire un’innata nobiltà d’animo. Questi, confidando sulla propria prestanza fisica, domina la scena e gode di un’enorme autorità su tutti, benché non manifesti la minima pretesa di ubbidienza dagli altri. La luce del sole filtra come un rado fiotto giallognolo dai vetri impolverati di due piccole finestre non riuscendo a stenebrare l’oscurità del locale. Non appena entrato, l’uomo si sente cogliere da un senso di afa e d’arsura intollerabili...

Prima di Turgenev i contadini-servi della gleba non hanno alcuna parte nella grande letteratura russa dell’Ottocento. Ma quando si giunge alle Memorie di un cacciatore la scena cambia radicalmente. Nei racconti che troviamo qui addensati incontriamo innumerevoli figure di servi della gleba ritratte nella loro umana irripetibile individualità, alla pari dei loro padroni. Anzi, la simpatia dello scrittore è rivolta tutta a loro, di cui sottolinea l’intelligenza, il senso della dignità umana e perfino la creatività poetica. Mentre i padroni vengono rappresentati come esseri gretti, ottusi, volgari e crudeli. Per tale ragione al loro apparire nel 1852 ebbero un effetto esplosivo e allarmarono gli ambienti di corte dello zar Nicola I e i grandi proprietari terrieri dell’aristocrazia agraria. Nel presentare i contadini come esseri umani migliori dei propri padroni, Turgenev rivolge di fatto un pesante atto di accusa contro la servitù della gleba, che gli costerà l’arresto e diciotto mesi di confinamento nelle proprietà avite di Orël, prima di venir riabilitato dai circoli illuminati e dal nuovo sovrano Alessandro II, artefice dell’abolizione della servitù della gleba. Il libro, che appartiene alla più alte opere di Turgenev e del realismo russo, narra i casuali incontri avuti dallo scrittore russo durante i suoi vagabondaggi venatori nella nativa regione di Bolchòv. Il suo intento è riferire quel che vede ed ascolta attenendosi scrupolosamente ai fatti. Ma la sua accurata rappresentazione realistica nulla toglie al lirismo della sua scrittura, soprattutto quando la penna si sofferma a descrivere lo scenario dei paesaggi rurali. Ed è una penna elegante e raffinata, capace di riprodurre affreschi di assoluto rilievo, in grado di esercitare ancora oggi un’appassionante malia seduttiva sul lettore.