
Al termine del primo conflitto mondiale, lo sfacelo e il fervore artistico in Germania sono inversamente proporzionali. Da un lato le condizioni del Trattato di Versailles e l’inflazione galoppante umiliano un popolo intero, prestando il fianco a spinte estremiste e dall’altro fioriscono le arti figurative e il teatro. Ad Amburgo, il Direttore del teatro cittadino Oskar H. Kroge non può lamentarsi di come vanno gli affari, soprattutto in questo periodo di crisi totale. Gli attori che impiega sono stelle di provincia, è vero, ma conoscono il loro mestiere e la città brulica di cultura e libertà. Nella compagnia, l’unico a cui i panni di stella di provincia vanno stretti è Hendrik Höfgen, un visionario e un esaltato ma anche un attore purosangue, abile a recitare persino quando il sipario cala e bisogna affrontare la vita vera. Divorato dall’ambizione, Höfgen prova fino a cadere preda di attacchi isterici, sferza i suoi colleghi per rivoluzionare il teatro – che vuole vicino alle masse operaie – e si dispera quando i giornali storpiano il suo nome, scelto così accuratamente per darsi il tono sofisticato che Heinz, il suo nome di battesimo, non ha. Fuori dal teatro la vita di Hendrik è disordinata e sembra trovare conforto solo nella bizzarra relazione con Juliette, detta la Principessa Tebab, valchiria nera che accende i suoi desideri più reconditi. Per il resto il teatrante, dai tratti somatici irregolari e dallo sguardo vivido, brucia solo per la sua voglia di affrancarsi dalla provincia e diventare il più grande attore vivente in Germania. La strada è in salita ma non è detto che le cose non possano cambiare...
Pubblicato originariamente in Olanda nel 1936, Mephisto è il capolavoro di Klaus Mann, figlio secondogenito del più noto Thomas, che nella scrittura si è ispirato alla vita del suo ex cognato, l’attore Gustaf Gründgens. Quest’ultimo era un attore senz’altro brillante e, come il protagonista dell’opera, con l’avvento del Nazionalsocialismo, rinnegherà le proprie convinzioni per rimanere in Germania e fare da megafono alla rinascita culturale del Terzo Reich. L’autore, oppositore del Nazismo, si serve di Höfgen (e della sua smisurata ambizione, pari solo alla sua doppiezza) per esemplificare i rapporti intercorrenti tra arte e potere, uno dei punti più controversi della storia del Nazionalsocialismo. Il bisogno di legittimare la propria weltanschauung fondata sul sangue e sul suolo, sui miti della razza e sulla grandezza del germanesimo passa giocoforza attraverso una nobilitazione dell’arte quale esaltazione del bello che giunge alle masse, fungendo da veicolo di sublime propaganda. Höfgen, che passa in una manciata di anni da convolare a nozze con l’elitaria e socialisteggiante Barbara Bruckner a diventare alfiere della rispettabilità e del buongusto artistico di Hermann Göring – una delle figure più eminenti del neonato Terzo Reich – è l’incarnazione perfetta di questo dualismo cupo e di questa volontà tentacolare del Nazionalsocialismo (e dei totalitarismi in generale) di cooptare ogni aspetto della vita dei propri cittadini, dalla politica alla famiglia, passando per il lavoro e l’arte. Klaus Mann, scrittore sanguigno e dall’animo romanticamente turbolento, mette in scena un dramma a tinte fosche, lanciando strali avvelenati contro gli alfieri del regime nazista apostrofando Göring come “il ciccione” e Goebbels come “lo zoppo” e mettendo a nudo la loro machiavellica politica a doppio binario: inflessibili e spietati con i nemici, disposti all’indulgenza e al compromesso con chi può tornar loro utile. E Höfgen? Il grande attore, protetto da Göring e dalla sua compagna, diventa famoso in tutta la Germania ricoprendosi di lodi e onorificenze, suscitando scalpore e ammirazione con la sua interpretazione di Mefisto – da qui il titolo del romanzo – nel Faust. Ma chi è davvero Faust e chi Mefisto in questa irresistibile messa in scena di crudeltà, opportunismo e potere? Nel 1981 il regista István Szabó ha tratto dal romanzo di Klaus Mann un film interpretato da un sontuoso Klaus Maria Brandauer. Presentato in concorso alla 34a edizione del Festival di Cannes, il film vinse il premio per la miglior sceneggiatura e il Premio FIPRESCI. L’anno successivo vinse il Premio Oscar per il miglior film straniero.