
“Il corpo di mia madre è sempre più rattrappito. È piccola. Una cosetta leggera, ossuta e dolorante. La vista le è parecchio calata ma l’udito è perfetto. Ha riconosciuto l’appello alla preghiera nel cinguettio di un passerotto. Dice ‒ Nomina Dio ‒. Mia sorella non l’ha contraddetta; ha confermato che l’uccello è un angelo venuto a pregare con loro”. Lalla Fatma è stata bella, buona, elegante e graziosa. Pur non essendo mai andata a scuola né avendo mai letto un libro né frequentato teatri e cinema, è dotata della saggezza che deriva dal rispetto profondo della tradizione, delle pratiche religiose, degli affetti familiari, della dignità di ciascuno. Ma a un certo punto il morbo di Alzehimer entra nel suo corpo e nella sua vita e porta confusione, sbalzi d’umore, offuscamento della lucidità, oblio, incoerenza. Lalla parla contemporaneamente ai tre mariti scomparsi da tempo, nomina figli che non ha mai avuto, mescola e confonde immagini e sentimenti, oggetti e cibi, giorno e notte. Non riconosce la casa e il quartiere, la stessa città in cui risiede. Il corpo e la mente di questa vecchia bambina suscitano in Tahar strazio e tenerezza, incredulità e perduto affetto. Quando è in Francia le telefona ogni giorno e, quando va a trovarla, si adopera per conciliare nel migliore dei modi l’indole di Keltoun, la badante dura, avida, egoista, talvolta brutale, della quale tuttavia la madre non può fare a meno, con la fragilità di lei…
“La morte”, scrive Tahar Ben Jelloun , “non è l’arresto del cuore, è la malattia di giorni e notti interminabili di degradazione, di sofferenza e d’impotenza". Il romanzo avrebbe potuto essere triste, doloroso, chiuso nella disperazione e nella rabbia più cieche. Invece il tono pacato della narrazione, le rievocazioni dei momenti felici dell’infanzia, i colori, sapori, odori di un passato lontano che ha il sapore del mito sorreggono il lettore e ciò che rimane saldo in lui al termine della lettura è la testimonianza di amore, il tributo di affetto e di rispetto alla madre confusa debole anziana come è nel presente, e alla madre saggia forte serena come è stata in passato. Il romanzo tuttavia può anche essere letto come un documento clinico sulle caratteristiche del morbo di Alzheimer, visto però, non con lo sguardo del medico o dello scienziato, ma con quello amoroso del figlio, costretto ad assistere impotente al progredire di una malattia spietata, capace di devastare non solo il corpo, ma soprattutto la mente e lo spirito di una madre profondamente amata. Tanto che, quando lei se ne va, tutto, la casa, gli oggetti, perfino il quartiere, appare brutto, vuoto, desolato, perché “La morte non è nulla. Ma tutto ciò che le gira intorno è insopportabile”.