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Mia sconosciuta

Mia sconosciuta

Marco è figlio unico perché, come gli ha spiegato la sua mamma, lui è nato quando lei ha deciso che, avendo ormai 40 anni, voleva un figlio e così aveva scelto una relazione occasionale con un pittore olandese. Nella vita di Marco c’è la mamma, lei sola, con la sua depressione altalenante, con la sua vita sofferente a Milano, trascinata di notte nei locali e con i periodi di felicità sulle montagne, a Courmayeur, da villeggiante. Una vita volutamente solitaria, per esiliati dal mondo. Un mondo che non può entrare nell’anima di Rosamaria, tormentata da un passato che le ha tolto la possibilità di vivere l’unico amore che avrebbe potuto renderla felice. Un taglio netto, che lascia fuori la famiglia, che definisce il suo unico amore, suo figlio, con l’epiteto di “bastardo”. Solo Marco ha un posto nella vita di Rosamaria. A lui, lei non nasconde la verità. Suo figlio diventa il suo confidente, l’amico, il punto di riferimento, l’unica persona con la quale condividere l’amore per le vette, le scalate, le passioni, ciò che detesta, la sua stessa vita. Una mamma da amare e amabile, ma difficile a volte, alla quale Marco scrive una lunga lettera per raccontarle come lui l’ha vissuta, cosa lei ha rappresentato per lui...

L’autore stesso, rivolgendosi direttamente alla madre, dice che ha scritto il romanzo come se fosse una lunga lettera destinata a lei, scritta dopo una manciata di anni dalla sua morte, con lo scopo di rimettere insieme i ricordi e rivederla, bella e sorridente tra le vette della montagna, tanto amata da entrambi. Un romanzo per raccontare la propria madre, l’idea che l’autore si è fatta di lei, che in gran parte rimane a lui sconosciuta, così come avviene per ogni figlio. I figli conoscono solo ciò che i genitori raccontano di loro: si conosce solo la versione della storia che i genitori ci consegnano, che è parziale e scelta da loro. Rosamaria, racconta a Marco Albino la sua storia senza veli, senza proteggerlo, perché lui è il suo confidente, lui è il suo uomo anche se ha solo un a manciata di anni. Un ruolo a volte davvero pesante per un bambino che non ha nemmeno gli strumenti per capire tutto ciò che gli viene detto. Le scelte dei genitori condizionano la vita dei figli e le scelte di Rosamaria sono state ingombranti nella vita emotiva di suo figlio. Nella storia tra madre e figlio entra gagliarda e amata la montagna, con le sue vette alte, le sfide, le conquiste, la ricerca dei silenzi. Montagne che conoscono la verità, il momento della perdita e che sono i luoghi della vita insieme, delle conversazioni, delle rivelazioni, della condivisione. Una figura forte, che ha forgiato Marco e lo ha limitato dentro il cerchio della verità concessa e che, poi, quando lei non c’è stata più lo ha lasciato libero di mettersi alla ricerca delle sue origini. Il romanzo ha le caratteristiche, a volte, di un racconto giornalistico (è questo il mestiere dell’autore), ma vi sono ampi spazi di una liricità altissima quando descrive la montagna in tutte le sue sfumature, momenti e aspetti. Si sente la passione, l’amore per quei luoghi, la loro forza e la capacità tragica che hanno di plasmare l’anima. Quando Marco parla in prima persona con la mamma o racconta di lei, la malinconia è così intensa da essere straziante. Una scrittura pulita, controllata, ma profonda e fortemente introspettiva. Un romanzo che si legge velocemente e con passione e che porta dentro due vite cucite insieme da tante esperienze totalizzanti e da una scelta che è stata d’amore profondo, quello che ha diretto la volontà di Rosamaria verso il desiderio di diventare madre e di amare senza riserve suo figlio.