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Mio fratello

Mio fratello

Nella sperduta campagna del Portogallo, tra rocce taglienti e paesini seminascosti, due fratelli quarantenni viaggiano in auto verso il borgo di Tojal, dov’è la casa in cui da ragazzi hanno trascorso le estati con la famiglia. Uno è il narratore protagonista, carattere brusco e inquieto, professore universitario divorziato di cui non viene mai fatto il nome; l’altro, nonostante la sua età, è l’eterno “bambino vergognoso di dieci anni che muove le dita e dà i salamelecchi”, Miguel, nato con la sindrome di Down. I loro genitori sono morti da qualche tempo e il protagonista, contrastando il volere delle sorelle, ha deciso di prelevare Miguel dal centro assistenziale nella città di Porto, dove sin da bambino ha trascorso le sue giornate fino alle cinque del pomeriggio, e di tenerlo a vivere con sé. Si era trattato di una sfida, non solo per la condizione intrinseca di Miguel, bisognoso di costante attenzione, ma anche perché, una volta uscito dal centro diurno, egli chiedeva in modo ossessivo di rivedere Luciana, afflitta come lui da problemi mentali, sua compagna in quel luogo e di cui era innamorato. Proprio intorno alla figura di Luciana si avvolge la memoria del narratore, mentre rivede per intero sia gli anni familiari trascorsi insieme a Miguel sia gli ultimi tempi di rinnovato contatto, in un continuo legame tra il passato e il presente, fino all’episodio inaspettato e rivelatore, tragico e definitivo, che modella per sempre la forma di una singolare fratellanza...

Mio fratello – vincitore del prestigioso Premio Leya per opere inedite in portoghese – è stato pubblicato la prima volta nel 2014, quando Afonso Reis Cabral, nato a Lisbona nel 1990, aveva solo ventiquattro anni, ma un talento di narratore già maturo, unito ad una sensibilità sorprendente, che permea questa storia aspra, difficile, e nello stesso tempo intimamente “umana”. Tutto nasce da un intento nobile del protagonista, quello di recuperare la distanza creatasi con il fratello, quando si è allontanato per vivere la propria vita, ma anche per liberarsi in qualche modo della presenza ingombrante di Miguel, che gli aveva fatto provare da adolescente un sentimento misto di affetto (“Io traducevo, ho sempre avuto un accesso diretto al linguaggio di Miguel”) e di malcelata gelosia (“[...]solo mio fratello contava, era solo di lui che si preoccupavano [...] Solo che anche io, il figlio maggiore, volevo qualche attenzione”). Il rapporto con un congiunto disabile è sicuramente complicato, ma forse nessuno prima aveva mai espresso con tale crudezza, priva di falso pudore, il carattere della simbiosi che si crea tra i due elementi, quello “sano” e quello meno fortunato (“Più lui è infelice, più io sono felice. Sono felice di aiutarlo, di tirarlo fuori dall’infelicità”) o il dolore del primo per non avere mai totale accesso all’animo del secondo, chiuso nella propria dimensione (“A volte mi sembrava molto evidente che un fratello ha poco spazio nella vita di un fratello, tanto più di un fratello come mio fratello. Bella merda.”) oppure, ancora, la granitica sicurezza di chi accudisce che ogni decisione presa, pur se estrema, sia nel totale interesse dell’altro, e non, invece, nel proprio (“[...] seppure nascosti dalla nebbia, insieme siamo una famiglia. Io lo proteggo e lui protegge me”). Un romanzo di dura poesia, che ci mostra quanto infiniti siano i volti dell’amore, il cui ricordo a fine lettura difficilmente può sbiadire.