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Morte a Firenze

Morte a Firenze
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Il piccolo Giacomo Pellissari attende invano sua madre davanti al collegio. La 600 della donna non ne vuol sapere di partire, così lei chiama in ufficio il marito che riesce ad arrivare solo un’ora dopo l’uscita dei ragazzi. Ma di Giacomo nessuna traccia, il bambino aveva chiamato ripetute volte a casa ma il telefono era staccato e così aveva preferito scendere la collina a piedi sfidando il maltempo – in fondo non era una distanza eccessiva – ed era sparito sotto la pioggia. Anche l’avvocato Pellissari non trovando il figlio al collegio aveva cercato telefonicamente la moglie senza successo, era arrivato a casa e si era accorto che la cornetta era stata messa male. Giacomo non era a casa. Alle tre i coniugi Pellissari denunciano la scomparsa del figlio, scomparsa che rimarrà tale per alcuni giorni finché... Siamo nel novembre del 1966, a Firenze il tempo sembra non dare tregua, il commissario Bordelli si concede una passeggiata nei boschi insieme all’amico Ennio, un ex delinquente, spera che impegnarsi nella ricerca dei funghi possa distrarlo dalle indagini sulla scomparsa del bambino ancora senza esito. Il tempo è nemico, nemico per le indagini e per quello che sta per accadere, l’inondazione di Firenze incombe ed è pronta a cancellare tutte le prove che permetterebbero a Bordelli di venirne a capo...

Torna Franco Bordelli, personaggio seriale di Marco Vichi a ingiusta ragione etichettato come scrittore di genere, e torna nella sua Firenze, torna con la sua sigaretta sempre accesa, con la voglia di sedersi a tavola, di mangiare e bere bene, torna forse un po’ più vecchio e amareggiato, con il cuore appeso ancora al ricordo di Elvira, ma pronto ad innamorarsi di nuovo. Alla soglia della pensione vorrebbe ritirarsi a vivere in campagna, ma per ora c’è tempo – ha ancora voglia e tempo di dedicarsi agli amici di sempre come Rosa, ex prostituta, Ennio e Totò dove si mangia sempre bene. Un libro duro, anzi durissimo, ben scritto, un libro che affronta un tema difficile da mandar giù e che fa male. I dubbi e il senso di impotenza del commissario sono gli stessi del lettore che per fortuna ogni tanto viene distratto dalle parentesi più lievi e le pagine più distese che Vichi ben inserisce lungo la narrazione. Un romanzo ben costruito, arricchito dalle notizie storiche sull’alluvione di Firenze che sembra di vivere assieme ai protagonisti. E dal fango forse il commissario saprà tirar fuori molto di più di quello che cercava. In un finale che – al contrario di quanto spesso accade in romanzi affini – non delude.

LEGGI L’INTERVISTA A MARCO VICHI