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Mosche, cavallette, scarafaggi e premio Nobel

Mosche, cavallette, scarafaggi e premio Nobel

È il 10 dicembre 1986 a Stoccolma. La Sala dei Concerti del Conservatorio è riccamente addobbata. Capi di Stato, autorità, parenti sono raccolti in platea, mille e quattrocento ospiti. I reali di Svezia sono pronti a consegnare il premio alla Professoressa, per la scoperta dell’NGF all’inizio degli anni Cinquanta. Luigi osserva l’evento mentre una mosca si posa sul suo ginocchio. L’insetto ignora il rischio che corre, lui è stato un abile cacciatore di mosche, le catturava ad Amantea per nutrire il merlo del signor Salvatore, il sarto da cui ha appreso il suo primo mestiere quando era ragazzino. Era abile con le mosche e abile a raccogliere le cicche da portare a suo padre, che le fumava di notte mentre pescava il pesce necessario per sfamare la numerosa famiglia. Per questo lo chiamavano il “muzzunaro”. Gigino è il terzo figlio maschio, come gli dice il padre sul letto di morte: “Tu sei il terzo. Lo vedi? Il terzo dito, il medio, è il più lungo”. Da quel momento tocca a lui sostenere la famiglia in balia della miseria. Lascia il sarto e va a lavorare come muratore, impara in fretta, osserva, si dà da fare, ma non basta. Lascia la Calabria per andare a lavorare a Monaco di Baviera e il lavoro è così duro da sfiancarlo e farlo ammalare. Dopo due anni di quella vita è al filosofo Armando Rigobello che deve la svolta nel suo destino. L’uomo lo spinge a studiare e investire nelle sue capacità, per anni lo sprona a migliorare, lo aiuta a trovare lavori utili per sé e la famiglia che deve mantenere ad Amantea. Gigino prende il diploma magistrale e quello del liceo scientifico, dopo tanti sacrifici l’orgoglio lo sommerge. All’Università di Perugia inizia a lavorare come assistente per il professor Colombo, all’Istituto di Istologia. Per un anno pulisce e cura le gabbie che contengono le cavallette necessarie agli esperimenti, finché un giorno il buon Rigobello gli pone l’insolita domanda: “Hai mai sentito nominare Rita Levi-Montalcini?”. Eccola, un’altra svolta, fatta di scarafaggi da accudire e di un viaggio in America…

Per riprendere una frase che Rita Levi-Montalcini rivolge al giovane e inquieto Luigi, è attraverso il mutamento del proprio punto di vista che si possono imparare cose nuove. L’approccio alla scoperta, ad anticipare il cambiamento, a mantenersi pronti e accogliere le nuove esperienze percorre tutte le pagine di questo romanzo, pieno di sentimento, immagini a volte brutali, e volto a suggerire il conseguimento degli obiettivi che possono arricchirci. Alla vita di Luigi fanno da cornice gli eventi sociali che riguardano l’Italia e l’America negli anni Cinquanta e Sessanta. Trovano posto personaggi come Renato Dulbecco e Martin Luther King. Un ragazzino nato nella miseria, che ha conosciuto fame e soprusi, all’età di venticinque anni si trova ad applicare la tecnica di Golgi sugli embrioni di scarafaggio, presso l’università di St. Louis, in seguito a firmare articoli scientifici con la Montalcini e ricevere una Laurea Honoris Causa in Biologia e una in Medicina. Luigi Aloe, alla cui tenacia questo romanzo è dedicato, è autore di oltre quattrocento lavori scientifici pubblicati, oggi è Direttore del Centro Sperimentazione NGF presso la fondazione IRET. Luigi Garlando è giornalista sportivo e autore di numerosi libri per ragazzi, noto per la saga illustrata dedicata al calcio “Gol!”, apprezzata anche all’estero. Il suo lavoro e i suoi viaggi, le interviste gli forniscono il materiale utile per creare le storie che appassionano i giovanissimi lettori. Nel 2017 ha vinto il Premio Strega per Ragazze e Ragazzi col romanzo L’estate che conobbi il Che, dal suo libro Per questo mi chiamo Giovanni Claudio Stassi ha dato vita all’omonima graphic novel.