
Cosa significa che il mostro si colloca al limite del dominio umano? E quali sono le ragioni per cui i mostri hanno sempre affascinato gli uomini? Qual è la funzione del mostro nel pensiero simbolico? Che cosa si pensa quando si pensa la mostruosità? In che senso il mostro è un’aberrazione della realtà? In che senso i mostri esistono per mostrarci quel che non siamo, ma quel che potremmo essere o divenire? Abbiamo forse bisogno di certezze sulla nostra identità umana, minacciata di indefinitezza? Fino a che punto potremmo spingere un artificio senza pregiudicare la nostra identità umana “naturale”? Quali sono i limiti di questa “naturalità”? In che senso un mostro è sempre un “eccesso di presenza”? Che cosa è, davvero, un essere umano, e cosa è l’umanità dell’uomo? Chi erano gli Sciapodi, che si proteggevano dal sole sollevando il loro unico piede, e chi erano i Pigmei, che lottavano contro le gru e via dicendo? E dove abitavano? E chi erano gli Arimaspi, che avevano un unico occhio in mezzo alla fronte? E gli Astomi, popolo privo di bocca, che respirava soltanto? Che ruolo giocavano queste razze favolose, assieme a diverse altre, nella visione antica e medievale dell’umanità? In quale misura e in quali aspetti la visione medievale si distanziava da quella antica, e da quella di sant’Agostino in particolare? Perché sant’Agostino rifiutava addirittura un’anima ai mostri? Cosa significa che, per Cartesio, l’umanità dell’uomo si definisce attraverso l’intelletto? Che vuol dire che i mostri possono essere, in qualche misura, i nostri guardiani, e che è necessario produrli perché ci aiutino a pensare e a mantenere la nostra umanità viva? Quali sono state, ad oggi, le classificazioni più interessanti e adeguate delle forme mostruose, e a quali anni risalgono? Come sono state strutturate e ripartite, queste classificazioni? Cosa vuol dire che il limite di queste classificazioni è stata l’assenza di un criterio morfogenetico? Cosa significa, infine, che nella contemporaneità i mostri proliferano, tra cinema, fumetti, videogiochi, giocattoli, libri, teatro e danza? Cosa ci stanno questi mostri raccontando della nostra società occidentale e delle nostre inquietudini? Con cosa ci stiamo confrontando, e che cosa stiamo cercando di comprendere e definire? Perché i mostri sono diventati “quotidiani”?
A queste e diverse altre domande risponde la nuova edizione di Mostri. Mostruosità e normalità nel pensiero occidentale di José Gil, classe 1939, già docente di Filosofia presso la Universidade Nova di Lisbona, autore di diversi saggi sui rapporti cultura- potere-corpo, con qualche puntata sulle strategie discorsive dei regimi dittatoriali (specialmente di quello di Salazar, al quale fu estremamente ostile) e sulle dinamiche testuali in poesia (soprattutto in Pessoa, suo compatriota e concittadino). Il volume era originariamente apparso in patria, a Lisbona, per la Quetzal, nel 1994; qui in Italia, le precedenti edizioni erano state pubblicate da Salento Books nel 2002, poi nel 2006 e infine nel 2012, sempre per la traduzione di Marcello Sacco. Il testo originale, sin qua inedito, è stato scritto in lingua francese; le edizioni italiane si fondano sulla prima edizione lusitana, condotta da José Luis Luna: parti del testo, si legge nel colophon, “sono state nuovamente verificate anche con il soccorso dell’autore”. Corredano la recentissima Besa, 2022 una breve postfazione di Gabriele Mina (“Riflessi mostruosi”), una bibliografia sintetica, tavole illustrate di Ulisse Aldrovandi. Per una generazione, come la mia, cresciuta leggendo il “Dylan Dog” di Tiziano Sclavi, e questo ovviamente “ab origine” e sinché ha avuto senso (grossomodo fino attorno al numero 160), un saggio del genere va a rinfrescare ricordi di tante lezioni magistrali del buon Tiz, da Broni; ricordi di sue lezioni filosofiche sul senso della mostruosità, sull’esistenza dei mostri, sulla loro relativa o nulla cattiveria, sulla nostra segreta coincidenza con essi. Assieme, in più punti si rinverdiscono memorie ginnasiali e liceali, con buffe reminiscenze della classicità e di qualche lettura novecentesca erudita e bizzarra, da Borges a Umberto Eco. L’impatto è piacevole e in più di un frangente fertile di assorte e silenziose meditazioni.