
Ci vogliono 57 prologhi, diversi appelli al lettore e introduzioni varie, anche alcuni post-prologhi e note di spiegazione, per essere finalmente trasportati all’interno del romanzo, a quel capitolo primo che finalmente disvela che da lì inizierà la storia che tutti siamo curiosi di leggere: a quel punto però prevale il senso di smarrimento. Sono passati in rassegna personaggi, idee, riflessioni, possibilità, che rendono quasi nulla la trama stessa del racconto. Un racconto che passa in secondo piano nel momento in cui siamo stati travolti da una marea di pagine di altri racconti. Che fare a quel punto? Lasciarsi andare è l’unica possibilità di fronte ad un narratore tiranno che ci ha rapiti e non ha nessuna intenzione di lasciarci andare. Né noi abbiamo la forza, e la voglia!, di cambiare strada. Sono più le teorie e le strade che si aprono, che la storia stessa. Infatti nel prologo finale (!), un ossimoro per sua natura, si svela lo scopo e la natura di tutto quanto abbiamo letto: un dispiegamento di “confusionismo” apparentemente libero e arbitrario che vuole consegnare un romanzo aperto, un libro bianco, ad altri che potranno meglio ordinare la materia intera. Il vero romanzo bisogna ancora scriverlo, magari sarà lo stesso lettore a farlo, magari non ne vale più neppure la pena perché quello che abbiamo letto ci basta o forse non ha alcun senso continuare a pensarci...
Macedonio Fernández è il nume tutelare e ispiratore dell’intera letteratura argentina moderna e contemporanea: scrittore, saggista, poeta, filosofo, riesce ad imprimere, in tempi non sospetti, una vitalità ed una forza al romanzo, scardinandone i limiti comuni e portandolo oltre la fisicità stessa della pagina, del volume. La sua non è solo fantasia, non è solo piacere dell’assurdo, non è solo gusto dell’estremo: è la curiosità di chi vuole indagare quell’aspetto sconosciuto e intoccabile che risiede dentro la creazione stessa e, contemporaneamente, negli occhi e nei sensi di chi si nutre di quelle storie. La sua maestria gli valgono l’ammirazione di Julio Cortázar, Luis Borges, Roberto Arlt e soprattutto Roberto Bolaño che lo cita come padre della letteratura argentina con Borges ancora in vita. Scrittore cerebrale, tutto sillogismi, umorismo e amarezza. Museo del romanzo dell’Eterna, iniziato nel 1904 e arricchitosi nel tempo fino alla morte dell’autore, sovverte ogni concezione tradizionale del romanzo e della distinzione dei generi letterari. Siamo invitati ad assistere alla follia estrema di un poeta senza età che ci incatena ad una serie di riflessioni sul senso del racconto, sul senso della preparazione al racconto. Una storia fatta di prologhi infinitamente lunghi e necessari, per inquadrare un non-mondo che ci convince e ci avvince più del mondo stesso. È un dialogo interno continuamente in evoluzione che permette di far svolgere al romanzo la sua vera funzione, cioè passare dalla parte del lettore, farsi leggere con gli occhi carichi di aspettative di un lettore avido di Infinito e di Assoluto. A tratti claustrofobico, è in realtà il primo vero non-romanzo, fatto di attese, di promesse, di assenze che diventano molto più concrete delle presenze stesse. Più che un romanzo è un generatore di tanti romanzi.