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Musica per camaleonti

Musica per camaleonti

La conversazione con un’aristocratica settantenne della Martinica sulla terrazza della sua “casa leggiadra, elegante, che sembra fatta di trina di legno” di Fort de France, sorseggiando tè di menta ghiacciato lievemente profumato di absinthe mentre tre camaleonti verdi si rincorrono sul pavimento… A Mosca, sulla metropolitana, in un gelido pomeriggio di dicembre, Truman riconosce un uomo che non vede da dieci anni. È sicuro che sia il signor Jones, sicurissimo. Eppure questo sembra impossibile, perché quando lo ha conosciuto – in una pensioncina di Brooklyn, nell’inverno del 1945 – era cieco e storpio e non usciva mai di casa… Invitato ad un matrimonio in Connecticut, Truman viene invitato a fare il viaggio in automobile con i Roberts, una coppia sulla quarantina dalla compagnia abbastanza gradevole. Solo che durante il banchetto i coniugi si ubriacano senza ritegno e il viaggio di ritorno si rivela sin da subito molto preoccupante, con l’auto che va a zig zag. Quando il signor Roberts sbaglia strada e si perde in campagna, Truman chiede e ottiene di scendere e si trova di notte da solo al limitare di un bosco. Dopo aver camminato per una mezz’ora, incontra una casetta di legno con una finestra illuminata. Dentro si scorge una “donna anziana con morbidi capelli bianchi” che legge vicino al caminetto… 1932, New Orleans. Truman ha otto anni e un segreto, qualcosa che lo turba, lo tormenta profondamente, una cosa che non osa dire a nessuno. L’unica a cui forse potrebbe svelarlo è la signora Ferguson: corre voce che abbia poteri magici. “Si diceva, e molte persone serie ci credevano, che riuscisse a imbrigliare mariti scapestrati, indurre a richieste di matrimonio corteggiatori riluttanti, restituire i capelli caduti, recuperare patrimoni dissipati”…

Come sottolinea nella sua introduzione Paolo Di Paolo, nelle pagine di Musica per camaleonti – a tutti gli effetti una smagliante autoantologia – Capote mette in sequenza tutti i Capote possibili, i frutti del suo «noviziato innanzi all’altare della tecnica, del mestiere», il corpo a corpo con «le diaboliche complessità dei paragrafi, della punteggiatura, del dialogo». Lo ribadisce lui stesso nella Prefazione: “Come certi ragazzi si dedicano al pianoforte o al violino per quattro o cinque ore al giorno, così io mi addestravo con carta e penna. Pure non parlai mai a nessuno di ciò che scrivevo; se qualcuno mi domandava cosa combinavo in tutte quelle ore, rispondevo che facevo i compiti. In realtà non ho mai fatto un compito”. Solo frutto di una affinatissima tecnica e del mestiere la perfezione di questi racconti? Sarà: ma, sottolinea Di Paolo, “al lettore resta invece la sensazione di una sconcertante naturalezza”. Solo una compilation di esercizi di stile, uno sfoggio di bravura fine a se stesso? Nemmeno per idea. Questo libro del 1980 raccoglie tredici racconti-interviste e un romanzo breve (Bare intagliate a mano, che quindici anni dopo A sangue freddo ne ripropone le atmosfere con la storia in forma quasi di sceneggiatura di Jake Pepper, un investigatore dello State Bureau of Investigation di “un piccolo stato dell’ovest” che indaga su un serial killer). Alcuni ritratti sono semplicemente fulminanti, tra tutti quello di Mary Sanchez, donna delle pulizie nella New York del 1979 e quello di una giovanissima Marylin Monroe (“una bellissima bambina”), incontrata nell’aprile 1955 ai funerali di Constance Collier, attrice e insegnante d’ arte drammatica “a livelli eccelsi”.