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Musica da camera

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Le poesie con cui il giovane Joyce si presentava per la prima volta al pubblico dei lettori all’inizio del secolo scorso svelavano sicuramente un autore dalle letture voraci: palesi erano i riferimenti ai poeti del periodo elisabettiano; mentre le atmosfere da sogno che permeavano i versi avrebbero potuto richiamare alla mente del lettore certa poesia romantica. L’incedere da filastrocca di alcuni componimenti, infine, rivelava l’assidua frequentazione da parte del giovane scrittore irlandese degli scritti di William Blake. “Archi fra i cieli e le terre / Fanno musiche miti; / Archi dove il fiume scorre / Tra i salici riuniti. // Musica va lungo il fiume / Dove s’aggira l’Amore, / Sui capelli le foglie brune, / Sul mantello un pallido fiore. // Tutto leggero suonando, / Col capo alla musica intento, / Le dita vanno vagando / Lungo uno strumento”. Alla maniera forse degli stilnovisti di qualche secolo prima, Joyce avrebbe voluto consegnare al pubblico una silloge in grado di descrivere, nella sua struttura, l’evoluzione di una storia d’amore: le prime due canzoni avrebbero quindi avuto il valore di un preludio; dalla III alla XXIV sarebbe stato svolto il tema dell’ascesa del sentimento amoroso; dalla XXV alla XXXIV quello del suo declino; gli ultimi due componimenti, la XXXV e la XXXVI, avrebbero poi rappresentato la coda della composizione. “Adesso, O adesso nel bruno terreno / Dove Amore un tempo cantava in letizia / Mano nella mano, noi due vagheremo / Indulgendo in virtù di quell’amicizia, / Non dolenti se il nostro amore fu lieto / E oramai sia in questo modo finito”...

Pubblicato per la prima volta nel 1907, Musica da camera non suscitò particolari entusiasmi. Del resto, ancora oggi, quando si parla di Joyce ci si riferisce quasi esclusivamente alle sue opere narrative degli anni successivi: Ulisse e Finnegans Wake, dunque, Gente di Dublino e il Ritratto dell’artista da giovane. La silloge è composta da 36 poesie che, quasi alla maniera di un ciclo di Lieder, ritraggono e sviluppano musicalmente le tappe di una storia d’amore. La critica del tempo ne approvò il ritmo, la formalità e la musicalità, rilevandone d’altro canto la fiacchezza contenutistica e intellettuale. Apprezzata, fra gli altri, da W.B. Yeats, Ezra Pound e Neruda (quest’ultimo tradusse nel 1933 le ultime due poesie della raccolta), Musica da camera viene qui riproposta nell’ottima traduzione di Andrea Carloni che ne celebra la musicalità e l’eleganza formale, mantenendosi fedele al ritmo e agli aspetti metrici della versione originale. Il volume riporta in chiusura uno scritto di Enrico Terrinoni, anglista e traduttore, docente presso l’Università per Stranieri di Perugia, che di recente ha curato per Bompiani una monumentale edizione bilingue dell’Ulisse. Seppur lo stesso autore considerasse le poesie qui raccolte come niente di più di un cominciamento espressivo, un insieme di versi «carini», e tradizionalmente l’opera sia stata apprezzata essenzialmente come esercizio di stile, Musica da camera è comunque secondo il nostro parere una lettura consigliata.