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Ne uccide più la lingua

Ne uccide più la lingua

La violenza non capita, ma è una precisa volontà dell’uomo a discapito delle donne che prima o poi, nella vita, ne fanno conoscenza. Se pure una donna odiasse gli uomini, non ci sarebbero tanti morti e feriti tra di loro e questo non si può certo affermare in senso contrario, a giudicare dai numeri importanti di femminicidi, stupri e pestaggi che ogni giorno riempiono le cronache. C’è un giorno - uno soltanto in un intero anno - in cui si parla di violenza ai danni delle donne ed è il 25 novembre, nel corso del quale i media mostrano dati e tipicamente facce tumefatte di vittime. Come se per essere vittime della violenza degli uomini fosse necessario mostrare lividi e ferite esteriori, come se non esistessero uomini “accorti” ed esperti in certi tipi di violenza che non lasciano segni esteriori. Ma a volte è proprio per questo che viene messo tutto in dubbio: ma sarà successo davvero? Se così è si deve denunciare, ma nonostante tutto è possibile sentirsi ribattere: “Sai quante denunce sono false?”. E poi c’è la questione temporale: devi denunciare subito, prima di sentirti dire che ormai è troppo tardi e che si deve fare prima. Da qui è sempre più forte l’idea di denunciare on line, perché si fa sempre con qualcun altro e, soprattutto, da qui nasce anche quell’attuale (per il libro - inchiesta sugli abusi sessuali a Hollywood delle giornaliste Premio Pulitzer e per il relativo film, ma soprattutto per il movimento che ne è nato) “me-too”, tradotto in italiano con “anch’io”, è la condivisione che rende sorelle. Ma è una modalità e non sempre viene messa in pratica da tutte...

Forse ci si aspettava di più da un libro uscito nel 2022 e per di più in occasione del giorno internazionale contro la violenza sulle donne. Ma in realtà è poco chiaro l’approccio in generale, che lo fa apparire spesso come una mega-confessione, forse solo un tentativo di raccontarsi, con annessa ricerca di assoluzione, anche se a parole - siamo arrabbiate come non mai - si diffida del perdono. Quindi si arriva (e si superano) le prime ottanta pagine senza aver ancora chiaro dove si voglia andare a parare, con il titolo che dice una cosa e il libro che tende a suggerire alle donne di non tacere, di non ignorare più un fischio per strada, una mano morta sull’autobus, uno sfioramento in discoteca solo perché invitate a ignorare. Ma chi si permette di fare questi inviti? In genere si tende proprio a difendersi, non lasciando impunito l’idiota che allunga una mano, ma anzi rifilandogli un bel calcio negli stinchi, anche perché, in genere, proprio perché “con la coscienza sporca”, nemmeno protesta! L’idea che si ha, leggendo questo libro, è che la cattiveria e tutta la rabbia espresse su quanto viene raccontato facciano riferimento più che altro a esperienze personali in cui l’autrice non si è difesa abbastanza, non ha avuto reazioni di alcun genere, anzi, proprio sapendo che “ne uccide più la lingua che la spada” non è riuscita a veicolare tanta cattiveria andando a colpire un punto debole dello stupido di turno. Man mano che prosegue, Valeria Fonte, attivista sul fronte femminista, continua la sua disamina sull’uso più rispettoso (sembra strano, visto il tono piuttosto aggressivo che usa) della lingua italiana nei confronti delle donne. Resta il fatto che queste nuove mode di variare la nostra lingua, con l’introduzione della “e rovesciata”, la cosiddetta schwa, per definire un gruppo misto di persone (in italiano nei plurali in cui rientrano entrambi i generi, di regola si usa il maschile), l’utilizzo di femminili nuovi e forzati (es. non avvocatessa, ma avvocata) servono proprio a poco in termini pratici. “Fatti, non parole”: sarà anche un vecchio adagio, ma che, riferendosi a una donna, si scriva “la Fonte”, piuttosto che “Fonte”, come si vuole oggi per essere come gli uomini e quindi senza articolo determinativo, non porta più rispetto alle donne, non elimina la violenza, né pareggia le condizioni discriminatorie nel campo del lavoro. Forse servirebbero meno chiacchiere, per cercare di puntare l’attenzione su cose davvero concrete.