
Eccolo lì, a testa in giù: il bambino. Al suo ingresso nel mondo mancano poche settimane appena, eppure già ha nostalgia della sua giovinezza, quando faceva capriole oceaniche nello spazio del ventre materno che allora pareva infinito. Invece adesso non riesce a muovere nemmeno un dito, ma non è questo a turbarlo. Pochi dubbi, ha sentito bene. Lui è un ottimo ascoltatore: si nutre di dibattiti radiofonici senza mai esserne sazio ed è un intenditore di vini – ha ascoltato l’istruttivo audiolibro Conoscere i vini, in quindici capitoli. Più di chiunque altro però gli capita di udire sua madre, Trudy, e le sue parole sono il prologo di una tragedia. Trudy tradisce il marito, poeta squattrinato e padre del bambino, e se la fa con Claude, un immobiliarista dal prevedibilissimo senso dell’umorismo. Il bambino li ha sentiti: quei due assassineranno suo padre, la sua dolce metà genetica. Cosa potrebbe fare lui per fermarli? Strozzarsi con il cordone ombelicale senza mai sapere cosa sia il colore azzurro o tuffarsi nel rischio della vita e nascere? Essere o non essere, questo è il problema…
L’idea alla base del romanzo Nel guscio arriva da una conversazione che Ian McEwan ha avuto con sua nuora incinta: “Stavamo parlando del bambino e ho sentito la sua presenza nella stanza in modo distinto”. Il protagonista e voce narrante del romanzo è infatti un bambino che ancora deve nascere e sebbene ci sia qualche precedente simile in letteratura (parzialmente nella Vita e opinioni di Tristram Shandy di Laurence Sterne, in Cristóbal Nonato di Carlos Fuentes e nell’epica in sanscrito Mahabharata), è certamente unica la sua personalità. Curioso del mondo e avido di cultura, questo bambino somiglia a un piccolo Leopardi che in nove mesi di “studio matto e disperatissimo” succhia come linfa vitale podcast radiofonici ascoltati da sua madre. Il suo pensiero altalena tra brillanti considerazioni geopolitiche e ingenuità ironizzate con arguzia da McEwan. Non gli è subito chiaro, ad esempio, il legame tra Claude e suo padre e del resto anche il lettore scopre i fatti al suo stesso passo, guidato per mano dall’autore. Si capisce presto però che Trudy è tutt’altro che un genitore esemplare – tra le altre cose beve e non prepara nulla per l’arrivo del nascituro – ma il figlio, pur razionalizzando ogni suo difetto, la ama con dedizione assoluta. Come anticipa in modo sottile l’epigrafe, Trudy e Claude sono nei nomi e nelle azioni la parodia di Gertrude e Claudio dell’Amleto shakespeariano e più si prosegue nella lettura più l’impalcatura del romanzo si fa forte del peso di un vero e proprio palcoscenico teatrale, con i personaggi sempre nello stesso interno e il bambino in un “a parte” a origliare. Scritto magistralmente, Nel guscio è un romanzo da lasciar decantare a lungo nella mente, come un buon vino in un bicchiere di cristallo, e anche se, come dice il novello Amleto, “si fa sera in questa seconda Età della Ragione”, è anche vero che la speranza spumeggia tra pagine come queste perché qui la letteratura contemporanea è illuminata a giorno.