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Nel nero degli abissi

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Roma. Mercoledì 17 gennaio, Villa Pamphilj. Il commissario Ansaldi è l’ultimo a scendere dall’auto. Alerami ed Eugénie sono già scattate fuori dall’abitacolo e, pistole pronte, stanno percorrendo il sentiero pedonale che circonda il laghetto, una in senso orario, l’altra in direzione opposta. Biagio Maria Ansaldi, invece, si appoggia un attimo alla portiera per fermare il senso di nausea che l’ha colpito. Guarda il terreno e respira a fondo, cercando di fermare quella sgradevole sensazione che sapeva benissimo sarebbe arrivata. Purtroppo non ha con sé la pastiglia per il mal d’auto. Sono usciti dal commissariato in fretta e non ha avuto il tempo di prendere la scatola dal cassetto dei medicinali. Quando finalmente chiude la portiera posteriore dell’auto, le sue due colleghe sono già parecchio distanti. Tutto quel che vede è la coda di Eugénie dondolare a ogni passo da un lato e la camminata impetuosa di Alerami dall’altro. Il commissario affretta il passo – secondo la sua personale accezione del verbo, ovviamente – e le sue scarpe gialle lo conducono sulla pista ciclabile, dove per poco non si scontra con la bicicletta che gli passa accanto, sfiorandolo. Quando finalmente Eugénie avvista il suo obiettivo – si tratta di un tipo che indossa una vistosa tuta azzurra con il cappuccio sollevato – avverte Alerami, che si prepara a colpirlo. Ma qualcosa va storto e il tipo con la tuta inverte in tutta fretta la direzione di marcia e si nasconde dove la vegetazione si fa più fitta, non prima di aver urtato due ragazzine che, purtroppo, stanno ascoltando musica da un auricolare nel punto sbagliato e al momento sbagliato. Le due finiscono in acqua e Ansaldi, senza un attimo di esitazione, si butta per aiutarle. Ma Biagio Maria non sa nuotare. Ha il terrore dell’acqua, lui, realizza mentre rivede se stesso bambino, con la pancia già evidente e una brutta cuffia a stringergli le tempie, mentre sul bordo della piscina non si decide a tuffarsi nonostante le sollecitazioni dell’istruttore che gli ripete di non preoccuparsi e di lasciarsi andare…

Seconda indagine per i cinque di Monteverde, la squadra facente parte di un commissariato che raramente vede i propri membri impegnati in situazioni particolarmente pericolose o difficile. Imperfetti e stropicciati come i Bastardi di Pizzofalcone frutto della penna e della fantasia di Maurizio de Giovanni, i cinque figli di carta di François Morlupi – autore italo-francese molto apprezzato dal pubblico – sono altrettanto carismatici e interessanti, a partire dal capo squadra, quel commissario Biagio Maria Ansaldi che ogni giorno si scontra con uno stato d’ansia che gli condiziona l’esistenza. Ipocondriaco fino allo stremo, Ansaldi ha però più di un’arma vincente dalla sua: è attento ai dettagli, è ironico quanto basta e possiede quella dose necessaria di fiuto che gli permette individuare senza indugi le giuste piste da seguire. E in questo caso c’è da affrontare una corsa contro il tempo per fermare una mano omicida, o forse due, che si accanisce nel cuore di una città oscura, ma grondante umanità. Morlupi ha il dono di saper costruire intrecci che catturano sin dalle prime righe; ha una penna tagliente e ironica allo stesso tempo, capace di miscelare con sapienza tensione e umorismo; ha dato vita a personaggi irresistibili, per i quali non si può che fare il tifo fin dall’inizio. Le sue storie hanno un unico difetto: si leggono d’un fiato e finiscono troppo in fretta. Causano dipendenza e non saziano: il lettore chiude l’ultima pagina del libro, ma ha ancora fame. Vuole sapere cosa faranno i Ringo Boys, è curioso di capire se Ansaldi riuscirà a perdere peso, si chiede quale futuro attende la bella Alerami e la spigolosa Eugénie. In poche parole, è già pronto per una nuova avventura. E Morlupi non dica di non essere stato avvertito!