
Se pensi a Vietri sul mare non ti viene di sicuro in mente un posto pericoloso, pensi alle spiagge e al sole dell’estate. Ma in quel dicembre, quando sulla spiaggia deserta e spazzata da un vento gelido viene trovato il cadavere nudo di una ragazza che è stata violentata, lo scenario cambia completamente. L’orrore però non finisce, il sangue che imbratta le gambe della ragazza è dovuto a un aborto. Il commissario Irene Bruno, come ogni poliziotto sano, non ha fatto l’abitudine alla morte violenta, la spinge solo a cercare con ancora più foga chi ha potuto fare un tale scempio. Elena lavorava in un negozio del centro, ma aveva un passato pesante di tossicodipendenza e forse spaccio e prostituzione, un passato che potrebbe anche essere tornato o mai finito nonostante le apparenze. Aveva da poco chiuso una relazione con Diego, uno studente squattrinato ma di belle speranze e nessuno a quanto pare sapeva fosse incinta. Il commissario, una volta raccolta qualche informazione, collega la vittima e il modus operandi ad altri due omicidi: stessa tipologia di vittima e stesso rituale, è convinta di avere a che fare con un serial killer. Con lei a indagare c’è il suo vice, Andrea Titarelli, Amina - una poliziotta figlia di immigrati che quando è in borghese viene trattata regolarmente con sufficienza, come fosse una “migrante qualunque” - e il medico legale Nappi. Iniziano a muoversi nell’ambito delle persone vicine alla ragazza e ben presto capiscono che probabilmente l’unica vittima designata era proprio lei. Rimane da capire perché e chi sia l’assassino, che si è mimetizzato così bene…
Maria Cristina Grella, insegnante umbra, ha partecipato con uno dei volumi alla saga di Mondadori I sette re di Roma e ha collaborato per qualche tempo con la testata specializzata in gialli e noir, “MilanoNera”. Nel nome della madre è il suo primo giallo. Un romanzo che potrebbe essere molto buono se. L’idea di base c’è, ma purtroppo ci sono anche tanti piccoli particolari che non funzionano e forse qualche stereotipo di troppo; viene da pensare che all’autrice manchi ancora (e sottolineo ancora, ovvero per il momento) la completa padronanza del mestiere. Perché, contrariamente a quello che comunemente si pensa, il solo talento non è sufficiente. Dietro un libro c’è un editor che si accorge che so, se una gonna è bianca a pagina dieci e diventa beige dopo poche righe o se un negozio di abbigliamento è aperto in piena notte. Il personaggio del commissario Bruno è un filino sopra le righe, un po’ troppo impulsiva, il che la porta qualche volta a rischiare inutilmente. Da poco vedova, resiste con apparente granitica fermezza all’evidente corte del suo vice, ma è palese che anche lei ne sia attratta, da qui l’abbastanza ovvio senso di colpa nei confronti del marito morto, che la porta a creare dissapori di cui poi si pente e che rischiano di incasinare l’indagine. L’uso del corsivo per sottolineare qualche (tante) espressioni dialettali è un’arma a doppio taglio, si ha quasi l’impressione che a sud di Gaeta siano in quattro a parlare in italiano senza infilarci una parola in dialetto, cosa che ovviamente non è assolutamente vera. Comprensibile la voglia di “spiegare” un territorio (e in generale una forte identità) che probabilmente la Grella ama molto, ma si può fare anche senza rimarcare più volte che uno del nord - nello specifico il vice, che è umbro come l’autrice, e quindi in realtà del centro - non riesca a comprendere la gente “di giù”. Una buona storia gialla che vira sul noir e la lettura agevolata dai capitoli brevi fanno pensare che autrice e personaggi abbiano un margine di crescita notevole: Nel nome della madre è una discreta partenza, ora bisogna crescere.