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Nella mia vita ci piove dentro

Nella mia vita ci piove dentro
Michele ha una brutta storia alle spalle e, a dirla tutta, nemmeno il suo presente è gran cosa. Fa il barista in un locale dove si suona jazz, vive da solo in un appartamento nel centro di Napoli, da dove vede e sente tutto. Non ha una donna da un sacco di anni, ha un unico amico che vede di rado perché gira il mondo suonando su una nave da crociera e una psicologa dell’asl che invece vede regolarmente da una decina d’anni. Michele è cresciuto con una madre che si è comportata con lui come la peggiore strega delle favole, umiliandolo e odiandolo per essere sopravvissuto al fratellino, debole e malaticcio, morto a sei anni. La vita di Michele è stata un inferno, nonostante la comprensione del padre, morto però troppo presto. Le continue vessazioni della madre gli hanno causato, oltre alla balbuzie, devastanti crisi epilettiche che, poco più che adolescente, per colpa di medici frettolosi e incompetenti, lo hanno fatto finire in manicomio, dove è rimasto molti anni. Quando anche la madre è morta Michele si è ritrovato solo, il suo amico Giovanni è riuscito a tirarlo fuori dal manicomio e don Raffaele, un vecchio amico del padre, gli ha offerto un posto nel suo locale. Adesso Michele fa i conti tutti i giorni con la sua solitudine e con le sue trombe. La prima è quella che gli ha sfasciato la madre in uno dei suoi continui attacchi d’ira. La conserva ancora, in una scatola, ma guardarla gli procura troppa sofferenza. La seconda è quella che gli regalò il padre quando la prima venne distrutta dalla madre e la terza, una bellissima Bach Stradivarius, è quella che si è comprato lui. Michele ha costruito una stanzetta insonorizzata sul terrazzo, dove si rinchiude a suonare, a dar corpo, attraverso i suoni, alle forme della sua mente, al suo passato e al suo futuro. Poi un giorno incontra Marta, una giovane musicista che sembra interessarsi molto a lui. Michele, nonostante la gioia e l’emozione per questo incontro inaspettato, ha paura a rivelare il suo passato, il manicomio, la malattia mentale. Ma il terrore più grande di tutti è quello di suonare davanti a qualcuno…
Un romanzo tenero e commovente, scritto con una padronanza di stile e una leggerezza di fondo grazie alle quali la storia non vira mai verso toni patetici o melodrammatici. Il protagonista riesce a comunicarci il suo dolore, ma lo fa con una consapevolezza talmente lucida da non rischiare mai il pietismo, anzi, a tratti (molto spesso, in verità) riesce anche ad essere ironico e l’ironia più bella e fulminante è proprio quella di chi, almeno a un primo sguardo, ha ben poco di cui sorridere. Ma Michele è un uomo solo apparentemente borderline, in realtà si dimostra estremamente vigile, consapevole di sé e della realtà che lo circonda. Bellissime, a tal proposito, le amare considerazione su Napoli e la sua variopinta umanità. E struggente il viaggio in treno verso il  mare con i tre pazienti della struttura per malati mentali, che costituiranno il pubblico davanti al quale, sulla spiaggia, Michele si esibirà per la prima volta.  Salvio Formisano, già finalista al Premio Viareggio col suo precedente romanzo L’accordatore di destini, ci regala una storia blues in cui il dolore e le sofferenze personali si mescolano con quelle del mondo, ma gli accordi, come in una struggente creazione di Charlie Parker, lasciano sempre intravedere una possibilità di salvezza e redenzione.