
La notizia viene comunicata al Presidente del Consiglio a metà pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969, mentre è a letto con la febbre. “Una bomba. No, più bombe. In diverse città. Alcune inesplose. Alcune esplose senza fra danni. Ma una, la prima, sì. Bilancio che sale di minuto in minuto. Strage”. L’uomo politico è sconvolto, si alza in tutta fretta, consulta il Ministro degli Interni e i colleghi di partito. Non si sa ancora nulla, però: “Solo caos e incertezza”. Per rispondere al caos, decide di proporre al Consiglio dei Ministri di aprire ai socialisti, di farli entrare al Governo. “È il momento di allargare il più possibile” il consenso, serve forza. Tre giorni dopo, lunedì 15 dicembre 1969, è a Milano ai funerali delle vittime dell’esplosione nella banca di Piazza Fontana. C’è “un odore di dicembre, di nebbia, di fiati. Di persiane serrate, di bandiere listate a lutto. Di silenzio. Di mandorle amare. Di polvere, di sangue”. La mattina è passato in ospedale a visitare i feriti: è stata un’esperienza che non dimenticherà. Viene fatto entrare nel Duomo da un’entrata laterale, ascolta l’omelia dell’arcivescovo, abbraccia bacia carezza i parenti delle vittime – “oltre che padre vorrebbe essere fratello, figlio, nipote di tutti loro”. Lo vorrebbero far uscire da dove è entrato, ma lui insiste per usare l’entrata principale del Duomo. “Avanza sul sagrato, si mette bene in vista. È adesso che occorre farsi vedere”. La folla rimane muta, attonita sotto il cielo grigio e lui sale sull’auto blu. Non esiste solo il dolore collettivo, in questi giorni, per la famiglia di origine calabrese di un ragazzino di dieci anni. Sua sorella più grande, fresca studentessa universitaria e attivissima nel movimento studentesco, è sparita nella notte di venerdì ma nessuno se n’è accorto fino al mezzogiorno di sabato, quando la madre ha bussato alla porta di camera sua ed è entrata per svegliarla, trovando soltanto “il letto disfatto, l’armadio aperto, i cassetti per terra, mucchi di vestiti sparsi ovunque” e sullo specchio “una scritta tracciata col rossetto: VOGLIO ESSERE ORFANA!”. Il ragazzino, che ha dovuto assistere a mesi di litigate sempre più feroci tra sua sorella con i suoi estremismi e suo padre, di indole moderata, non è affatto sorpreso ma avverte dentro un dolore sordo, un vuoto…
Sono molti i giallisti italiani che negli ultimi anni hanno imboccato con successo la strada indicata dal maestro James Ellroy qualche decennio fa: applicare gli stilemi del noir ai misteri della storia patria. E di zone d’ombra la storia italiana del dopoguerra del resto ne offre molte, dalla strategia della tensione agli anni di piombo, dalla Banda della Magliana a Tangentopoli, dai misteri vaticani alla criminalità organizzata. Si potrebbe dunque credere che Valerio Aiolli, che pur giallista non è né credo vuole essere o sembrare, con questo Nero ananas (il titolo del romanzo – lo dichiaro subito con franchezza – è la cosa che mi convince meno) voglia inserirsi in questo fortunato filone letterario. Non è esattamente così. Anzi, non è per niente così. Perché Aiolli con il suo romanzo (che si intuisce di lunga gestazione, multistratificato, sedimentato, limato; che è stato proposto per il Premio Strega 2019 e avrebbe meritato di vincerlo) racconta la nascita degli anni di piombo (la vicenda si dipana tra 1969 e 1973) usando un “lessico famigliare”, guardando quella stagione cupa e disperata dal punto di vista di una famiglia normale e tenera, tentando inoltre di intuire i moti intimi e sentimentali dei personaggi coinvolti nella strategia della tensione più che spiegarci didascalicamente il loro ruolo politico. È la storia delle anime coinvolte, questa, più che la novelization di un’inchiesta. Più di cuore che di testa. Già questo approccio avrebbe garantito ad Aiolli i crismi dell’originalità, ma quello che fa decollare il romanzo è la figura del Pio, Presidente del consiglio modellato sulla figura di Mariano Rumor (i personaggi di Nero ananas sono quasi tutti anonimi o nascosti dietro nomignoli come il Dottore, Falstaff, Zio Otto, il Samurai, il Prete e appunto il Pio, dietro ai quali però si possono facilmente riconoscere i protagonisti di quegli anni). Tormentato (anche sessualmente), opaco, fragile, potente, ontologicamente democristiano.