
Leila ha poco più di quindici anni. Il suo seno è cresciuto parecchio (la cosa le crea non poco disagio) e anche il suo viso non contribuisce certo a renderla anonima come lei vorrebbe. Suo padre Mustafa non fa che ripeterle che un viso come il suo potrebbe bucare qualsiasi schermo cinematografico e che a Sarajevo non potrà certo passare inosservata. Secondo lui, la figlia potrebbe fare l’attrice. La ragazza, invece, più si osserva allo specchio e più si sente a disagio. Inoltre, è ben consapevole che la provincia, nella quale vive, non ama l’apparire e reagisce con disgusto ogni qualvolta un appariscente decolté femminile si palesa per strada. Ecco perché lei preferisce indossare maglioni larghi e senza forme e gonne lunghe fino al ginocchio. Al contrario della figlia, invece, Mustafa non ha alcuna intenzione di passare inosservato. Capita spesso di vederlo mentre declama i versi più belli della poesia russa davanti alla cassiera di un minimarket o impegnato ad intonare l’Aida di Verdi durante le riunioni del partito comunista o ancora a interpretare Otello durante la partita di calcetto. L’uomo sa bene che nell’animo della figlia sono in atto violente bufere e che la ragazza è stufa dei continui traslochi che la sua attività lavorativa ha imposto alla famiglia. Leila non ne può più di armadi disfatti e rifatti, di valigie negli ascensori e di nuove ripartenze. Tuttavia, sa che anche questa volta non potrà far altro che accettare il nuovo lavoro a Sarajevo e si vedrà costretto ad imporre a Leila e ad Aida, sua moglie, un altro cambiamento. Dopo una nuova discussione sul trasferimento, Mustafa comprende quanta sofferenza si nasconda dietro l’apparente cinismo della figlia, che è spaventata a morte dall’ennesimo salto in un ignoto di cui non sa assolutamente nulla…
Un istante prima l’unico affanno è quello legato alla corsa, l’unico pensiero è quello che riguarda il bacio di qualche ora prima, l’unica fatica è quella di un corpo che si sta trasformando e che non si riesce ad accettare. Un istante prima il futuro è una pagina bianca e la vita è spensieratezza, gioia, gioventù e speranza. Poi, nello spazio di un sospiro, tutto cambia. Il tempo non segna più la bellezza, ma il terrore e la paura. L’affanno prende la gola e diventa fuga verso la salvezza. La guerra, quella legata ad un assedio che si protrarrà per quasi quattro anni, diventa la nuova pagina di vita, una pagina già scritta questa volta, a tinte fosche e cariche di orrore. Il romanzo semi autobiografico di Emina Gegić - sceneggiatrice, drammaturga e docente di origine bosniaca e da tempo residente a Milano; una laurea in Drammaturgia all’Academy of Performing Arts di Sarajevo nel curriculum - è il racconto di tutto questo e si fa, nello stesso tempo, voce potente di tutte le vittime - undicimila cinquecento quarantuno morti e oltre cinquantamila feriti - dilaniate dalle granate lanciate per un periodo interminabile su una città che è stata, fino ad un attimo prima dell’assedio, un melting pot formidabile. Sarajevo è bella, libera, gioiosa, multietnica e traboccante d’arte. E Leila, la protagonista del romanzo, è come la città in cui vive: carica di brio- in piena crisi ormonale tipica dell’adolescenza- affamata d’amore e ostinata nel rivendicare il suo diritto all’istruzione e a vivere appieno il suo processo di crescita, quello che la porterà a fiorire in tutto il suo splendore pur tra le brutture di una guerra. La passione per il teatro, la scuola, l’amore e anche la morte si intrecciano strette all’esistenza di Leila che non smette mai, neppure per un attimo, di ricercare la bellezza tra le macerie di una città distrutta, perché la bellezza spesso si nasconde proprio dietro le cose che maggiormente spaventano. Con una prosa semplice ma che arriva dritta al cuore, la Gegić si fa testimone di uno spaccato di Storia che non va dimenticato perché, come l’autrice stessa sottolinea nella dedica posta all’inizio del suo romanzo, è fondamentale che ciascuno “ricordi sempre le origini della sua libertà”.