
La mattina che se ne va di casa, Elyria sente il marito alzarsi dal letto, vestirsi e uscire dalla stanza. Lei rimane a letto, a fare finta di dormire fino a che non lo sente chiudere la porta d’ingresso. Verso mezzogiorno si carica lo zaino sulle spalle ed esce in strada. Si sente così ridicola che prima di tutto entra in un bar a farsi un bourbon doppio, dopodiché va in aeroporto e sale su un volo diretto in Nuova Zelanda. Ha ventotto anni, Elyria. Ventotto anni, un indirizzo scritto su un pezzo di carta e un bufalo come inquilino – dentro di lei –, che cerca di ucciderla e stritolarla e distruggerla ogni minuto. È per scappare da questo bufalo, o almeno per cercare di placarlo, che Elyria lascia New York, il suo lavoro e il suo paziente marito. In Nuova Zelanda Elyria si sposta in autostop, arrangiandosi come può e con quello che trova. Intanto il tempo passa – o meglio: le scivola addosso – e ogni tanto il bufalo che ha dentro si scatena e a Elyria parte la testa e pensa alla mamma alcolizzata e assente; oppure a Ruby, la sua geniale sorella adottiva, che un bel giorno ha preso la decisione di togliersi la vita; o ancora a suo marito, professore universitario di Ruby, conosciuto il giorno del suicidio...
Il romanzo d’esordio di Catherine Lacey è un romanzo a cui – scusate il termine – “fumano” parecchio. Da una parte ci sono una ragazza disperata e un viaggio in autostop per ritrovare se stessa. Dall’altra ci sono la testa di questa ragazza disperata e il bufalo impazzito che la travolge. Un romanzo introspettivo, eppure, allo stesso tempo, incredibilmente ricco di “materialità”, di gesti, di oggetti. La scrittura è caleidoscopica, segue l’andamento dei pensieri di Elyria: in alcuni momenti è lucida e tagliente, quasi fotografica, poi all’improvviso parte per la tangente e si scollega dalla realtà, rotola su se stessa, rimane intrappolata in un groviglio di pensieri. Azione e introspezione seguono un equilibrio perfetto, e la storia – quella fuori e quella dentro Elyria – cattura chi legge in modo davvero semplice. Cateryne Lacey mostra di saperci fare, sia con le parole che con i fatti, e trova il modo di dare forma a quell’assurdo, eppure tremendamente attraente, desiderio di scomparire che tutti, in un modo o nell’altro, ci portiamo dentro. Tutti nascondono un bufalo irrequieto e molti imparano ad addomesticarlo, o quanto meno a tenerlo a bada. Ma qualcuno, come Elyria, proprio non ce la fa, o sembra non farcela. E allora il desiderio di scomparire si fa più forte che mai. È un meccanismo di sopravvivenza pure quello, in fondo. Catherine Lacey l’ha capito molto bene e ci ha tirato su un romanzo strabiliante.