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Niente di vero

nientedivero

Suo fratello muore diverse volte al mese e, ogni volta, è sua madre a darle l’informazione. La chiama e, in un sibilo, le fa sapere che lui non risponde al telefono. Secondo sua madre il telefono è l’elemento che certifica la permanenza della specie umana sulla Terra e, se non si risponde, è ovvio che ciò sia il segno tangibile della dipartita. Quando allora la donna chiama Veronica per annunciarle che il fratello non è più tra loro, non vuole essere rassicurata. Le basta che la figlia femmina partecipi al cordoglio, secondo il proverbio per cui mal comune è mezzo gaudio. La donna ipotizza spesso anche le ragioni del decesso. Può trattarsi di un semplice incidente domestico o di un brutto incidente automobilistico. In ogni caso, quando la donna realizza che suo figlio è ancora vivo, si sente mortificata, fa il broncio di un’adolescente e si chiede come possa rimediare e cosa possa portare ai carabinieri, che ha importunato senza motivo, per farsi perdonare. C’è da dire poi che, per tutta la durata del panico, la donna tiene un rapporto diretto con il Signore, con cui contratta e si impone dei fioretti: non mangiare dolci, non ascoltare Radio tre, non guardare la TV, non andare dal parrucchiere. Robe così. La volta in cui ha pensato che il figlio - che è assessore alla Cultura in uno dei quartieri residenziali della periferia nord-est di Roma - fosse in ostaggio dei torturatori del PD, aveva addirittura pensato di buttarsi dalla finestra. Peccato però che non ci sarebbe proprio passata, dalla finestra, perché il padre di Veronica ha sempre avuto la smania di dividere le stanze, costruendoci muri che, insieme agli spazi, segano a metà anche le finestre. Veronica ha imparato a leggere intorno ai quattro anni e la cosa sarebbe degna di nota se non fosse che suo fratello, il genio di casa, ha cominciato a farlo quando di anni ne aveva tre, età in cui già conosceva a memoria i nomi dei presidenti americani in ordine cronologico e la data del loro insediamento…

Le vicende di una vita comune raccontate con un’autenticità e, soprattutto, un’onestà che colpiscono e incantano. Una voce originale e una scrittura solida per una storia che è una sorta di autobiografia della protagonista, il passaggio dall’infanzia all’età adulta di Verika, che si muove da una madre troppo presente e pressante a relazioni amorose che si concludono con un nulla di fatto, passando attraverso amicizie destinate a sciogliersi e viaggi alla ricerca di sé e del mondo in giro per l’Europa. L’ultimo romanzo di Veronica Raimo - scrittrice romana classe 1978 – è un memoir che parla di famiglia e di lutto, ma attinge ad una comicità che vuole superare i cliché e rivelarsi, allo stesso tempo, assolutamente autentica. Il risultato è un racconto che fa anche ridere. Anche, attenzione, non solo. A lettura conclusa, infatti, quello che resta è un misto di sensazioni che comprende, in egual misura, paura e rimpianto, affetto e speranza. Non si tratta certo di un’autobiografia oggettiva (come suggerisce anche il titolo paradossale), quanto piuttosto di un racconto manipolato dalla decisione di raccontare solo determinati spicchi di vita, oltre che dalla scaltra abilità della memoria di ripescare, dal profondo calderone dell’esistenza di ciascuno, solo determinati ricordi. Si tratta quindi di un enorme puzzle che include solo alcuni pezzi, mentre altri restano inutilizzati all’interno della scatola. La Raimo sceglie di parlare di famiglia e mette in scena una madre onnipresente e capace di raggiungere i figli anche nel punto più lontano e abbandonata della terra; un padre fissato con l’igiene e la cui ossessione di erigere muri tra le pareti di casa - incluse le finestre - non si placa se non con la sua morte; un fratello, Christian, che divide con l’autrice la vocazione dello scrittore. Ancora, la Raimo parla di amicizia e di aborto, di complicità e di frustrazione, di rabbia e di noia, così costruttiva quest’ultima quando si è bambini e la si considera una porta di accesso per la creatività, mentre quando si cresce finisce per perdere il suo potenziale e diventare un’esperienza come le altre. Pagine dense, ricche di situazioni esilaranti ma assolutamente convincenti, che raccontano la quotidianità unica e speciale che si nasconde dietro ogni tipo di rapporto e che ridefiniscono il concetto di famiglia, liberandolo dalla gabbia in cui troppo spesso è rinchiuso e assumendo confini più liberi e decisamente meno claustrofobici. Una lettura spassosissima, che segue il processo di formazione di una donna che, lungo la strada che l’ha portata a definirsi tale, ha raccolto poche certezze e mille dubbi, ma sa nutrirsi di entrambi in egual misura.