
L’uomo avanza un po’ impacciato nella “confezione” che gli hanno cucito addosso. Ha la percezione di indossare una nuova carne e così procede, avvertendo in sé quasi la stessa trasformazione della larva pronta ad esplodere a nuova vita. L’uomo avanza e sale nella vecchia Panda, un vecchio arnese che prende a guidare con foga come fosse un destriero dell’apocalisse. Dai finestrini scorrono le immagini di ordinarie scene di vita quotidiana: il cemento, i marciapiedi, le facce delle persone. All’uomo quelle persone danno la sensazione di essere dei naufraghi alla ricerca della salvezza. Cos’è la salvezza chiede l’uomo alla bomba che gli hanno cucito addosso. E immagina che quella risponda: io sono la salvezza. L’uomo parcheggia l’auto accanto alla stazione. L’odore di piscio di cane e smog sembra incollarlo al suo ordinario squallore. Uno sguardo ancora alla piazza del piccolo centro, alla torre dell’orologio e alle braccia di portici sotto i quali sfilano facce anonime. L’uomo già intravede nell’immediato futuro come un fungo nucleare, poi i titoli dei telegiornali, gli hashtag, gli avatar di finta compassione, le maratone di trasmissioni dedicate alle vittime di cui spesso (pensa) non importa nulla a nessuno. Perché, dice l’uomo, nessuno ricorda i nomi delle puttane ammazzate dallo Squartatore, ma tutti ricordano Jack. Così all’uomo torna in mente una frase dell’amico Amir: “Noi siamo i buoni”. E si avvia, ora sicuro, verso il compimento della missione…
Studente svogliato ma profondo che colleziona insufficienze e però legge Rimbaud e Ferlinghetti scoperti per caso su Instagram, Alì frequenta l’ultimo anno di un istituto tecnico da ripetente. Figlio di arabi trapiantati nella provincia emiliana passa le giornate a non fare niente. O meglio, ama complicarsi la vita tra hashish e bravate, da sfondo due genitori bravi lavoratori ma del tutto assenti in casa e incapaci di dare un orientamento al ragazzo. A tal punto che all’inizio il lettore avverte quasi come una profezia il rimbrotto della prof Segre: “O studi, esci da qui e ti trovi un lavoro o vai all’università o ti metti a scrivere poesie o fai qualcosa per la tua cazzo di vita, oppure finirai nel cesso, Alì, e sarai tu stesso a tirare l’acqua”. Parole che rafforzate dal prologo lasciano al lettore l’ingannevole prospettiva di ritrovarsi di fronte ad una storia dal piano inclinato, dove tutto avanzerà verso una presumibile catastrofe. Meglio non dire altro sulla trama, per non spoilerare. Ma chi legge sia avvertito: la storia è molto più articolata e dall’esito molto meno scontato di quanto si possa attendere. Storia di una provincia che l’A. conosce bene tra la natia Sassuolo e Modena. Storia nera di frustrazioni e smanie nichiliste, eppure di inattesa redenzione. Merito di Bellafqih, menzione d’onore al Premio Calvino, che giunge così alla sua seconda opera dopo Nel grande vuoto. Lo stile resta immutato. Di quel primo libro, in un’intervista a Mangialibri l’autore puntualizzava: “Nonostante il tono del romanzo sia abbastanza cupo, penso che una via d’uscita ci sia”. Ecco, questo sembra il messaggio ultimo, la cifra precisa anche di questo nuovo avvincente lavoro.