
Un pomeriggio afoso di luglio nell’anno del Signore 1789, in un palazzo nobiliare del centro di Napoli, ai Quartieri Spagnoli. Don Sebastiano Scarca, marchese di Roccagioiosa, di quella nobiltà in via di decadenza, conversa nel lungo dopopranzo con un prelato, don Girolamo, della situazione in cui versa il Reame di Napoli. Scambi di opinione sulla vita politica: per il sacerdote il momento è stagnante e ci sarebbe bisogno di una bella “vuttata” ovvero di una spinta verso il cambiamento; dal canto suo il Marchese non è del tutto concorde, anzi ritiene che sì, l’andata via di Tanucci non era stata una grande trovata, eppure nutriva ancora fiducia in re Ferdinando e nei membri dell’attuale governo, a cominciare dai ministri De Marco, Caracciolo e Acton perché riprenda con nuova lena la strada delle riforme. L’accento nostalgico per il vecchio Tanucci suscita visibilmente fastidio nell’interlocutore giacché le tendenze anticurialiste del ministro l’avevano spinto a cancellare una serie di privilegi al clero. La conversazione si avvia a diventare polemica ed è provvidenziale l’arrivo della marchesa, donna Lucia Aveleta, che con un vassoio di bicchieri colmi di limonata dispensa sorrisi e invita alla tregua: “Rinfreschiamoci un poco, caro abate”. E la limonata dà il via al pomeriggio. Il marchese si ricompone, si abbottona il panciotto lasciato aperto dopo l’abbuffata di pranzo e si avvia con Antonina Giuseppe detta Nina perché la ragazza, 14 anni, sta imparando le arti di un maschio e deve tirare di fioretto ai Camaldoli, nella terra del conte Andrea Marra, con il figlio Pasqualino. Sì, perché al Marchese non era mai andata giù l’idea di avere avuto dalla consorte una figlia femmina e, dunque, aveva imposto un accordo alla moglie: avrebbe allevato Nina come un figlio maschio…
Venti di rivoluzione spirano da Oltralpe, quando la marchesina Nina Scarca – complice la follia del padre che non si è mai rassegnato a non avere un figlio maschio – si ritrova a tirar di fioretto e di sciabola, e a sparare col moschetto per poi fingere di essere un uomo pur di riscattare dal baratro della povertà la famiglia d’una nobiltà che ha intrapreso la china di una irreversibile decadenza. Ecco dunque che Anita Curci, autrice di altre opere storiche, ci guida in un suggestivo spaccato d’epoca che condurrà il lettore in un tempo ricco di spinte innovatrici e di ideali, in una città che è un universo tutto da scandagliare nelle sue molteplici sfumature, alla vigilia degli sconvolgimenti profondi e tragici del ‘99. Il lettore si ritrova in un dedalo di vicoli, tra nobili e lazzari insieme, tra le variopinte e odorose campagne del Reame di fronte alla fatica dei contadini, e di fronte alla giovane marchesina che impersona a modo suo le istanze diffuse di cambiamento. Simbolica la scelta del titolo mutuata dal libretto di Lorenzi dell’opera messa in musica da Paisiello, rappresentata per la prima volta nella colonia industriale di San Leucio in quell’89 che vede a Parigi la presa della Bastiglia. Lettura piacevole e scorrevole che getta uno squarcio di luce sulla fascinosa città capitale del Reame. Da queste pagine si irradia uno sguardo profondo e pieno di compassione sul paesaggio e sulla gente che popola la metropoli. Per dirla con le parole di Nina: “Napoli è maestosa vista da qui, ma poi percorrete i suoi vicoli, affrontate faccia a faccia la sua realtà, e v’accorgete che è piena di guai”.