
Teheran è la capitale dell’Iran, uno stato grande poco più di cinque volte l’Italia. Si trova al centro di parecchie vie carovaniere: la via delle spezie, la via della seta e la via delle pietre preziose. Fino agli anni Trenta del secolo scorso il nome della nazione era Persia. Era stata così chiamata dagli inglesi, che avevano preso spunto dalla sua regione centrale, il Fars. Nel 1936 Reza Shah ha deciso tuttavia di prendere le distanze dall’imperialismo britannico e ha scelto di chiamare la nazione Iran, nome che evoca la gloria dell’antico impero persiano. I persiani non sono arabi, ma un popolo indoeuropeo, multietnico, multireligioso e multiculturale. Il ruolo in primo piano è riservato alla civiltà musulmana, sia araba che non araba. Tra l’Iran e il sud Italia ci sono parecchie affinità. Innanzitutto si dà del voi, come ancora accade in Italia meridionale, alle persone che non si conoscono e verso cui si vuole mostrare una particolare forma di rispetto. Poi, gli incontri familiari a Teheran sono, come al sud d’Italia, parecchio affollati e rumorosi. Inoltre, se non si mangia in continuazione quando si è ospiti presso qualcuno, il padrone di casa si offende. Ancora, le donne dell’Italia del sud sono state a lungo in posizione subalterna rispetto all’uomo: per strada camminavano un passo indietro e non si sedevano mai a tavola con lui. In Iran è la stessa cosa. In Italia meridionale ci sono processioni con i flagellanti, così come a Teheran si può assistere alle processioni di Ashura, per ricordare la morte del nipote di Maometto, l’Imam Hossein. Teheran è una città spaccata in due: a nord ci sono le montagne e a sud il deserto. Nella sua parte settentrionale abitano i ricchi - un po’ snob; le donne mettono il chador solo per visitare il mausoleo che si trova nella città santa di Qum - mentre a sud c’è il bazar - negozi piccolissimi, in cui tutti vendono di tutto ed è obbligatorio mercanteggiare - e le donne portano sempre lo chador. Per abituarsi al clima di Teheran possono servire anche settimane: a causa dell’altitudine è normale sentire la gola sempre secca o avere la necessità di soffiarsi di continuo il naso...
Farian Sabahi, docente universitaria e giornalista italo-iraniana, è la guida perfetta per raccontare cosa significhi essere prima bambine e poi donne in un paese complesso come l’Iran, terra ricca di contraddizioni e di incredibile bellezza. La Sabahi prende per mano il lettore e lo conduce in un viaggio tutto al femminile. Si tratta di un percorso tra cultura e politica, tra usanze e tradizioni che mostrano analogie tra lo stile di vita di un paese difficile come può essere l’Iran e certe aree della nostra Italia, ricca anch’essa di usi e costumi che si tramandano da secoli. Ecco, quindi, che le differenze sfumano, le distanze si fanno più brevi e si entra pian piano nella mentalità e nella cultura di un popolo fortemente radicato in usanze cementate nella tradizione, ma che le donne moderne stanno cercando di cambiare. Tra i suoni, i colori e i sapori dell’antica Persia, l’autrice racconta il grido delle donne iraniane, che stanno provando a dare un nuovo volto a una terra che per troppo tempo le ha discriminate. Si tratta di donne che sono protagoniste nei più diversi ambiti sociali, che provano a combattere gli stereotipi e ad affermare la loro dignità e il loro diritto a esprimere idee e a scegliere di non conformarsi a certe ottusità di un regime che troppo spesso le ha utilizzate esclusivamente come propaganda politica. Teheran è una città di contraddizioni: Oriente e Occidente si mescolano e non sempre si fondono, mentre le sinagoghe sono state costruite accanto alle chiese; gli omosessuali vengono condannati a morte, me i transgender possono contare su un rimborso da parte del sistema sanitario sociale se intendono sottoporsi a un intervento per cambiare sesso. A Teheran il livello di istruzione è tra i più alti dell’Asia, ma se una ciocca di capelli sfugge a uno chador si può essere imprigionati e picchiati fino a morire a causa delle percosse. Le donne iraniane sono sportive e tra loro ci sono anche parecchie calciatrici che giocano senza velo, anche se “... i nostri padri non possono entrare allo stadio e fare il tifo per noi e quando giocano loro, i maschi, noi donne non possiamo entrare allo stadio”. Pagine intense, in cui non manca una buona dose di ironia, necessaria per raccontare, senza esserne sopraffatti, alcuni aspetti davvero difficili da narrare altrimenti; una lettura che invita ad approfondire una situazione complessa e a rompere quella cortina di indifferenza che, troppo spesso, impedisce di comprendere appieno le cause che sono alla base di certe realtà.