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Noi però gli abbiamo fatto le strade

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Negli ultimi anni in Italia abbiamo assistito a diverse ondate di revisionismo storico con la messa in discussione di svariati eventi cardine e valori nazionali precedentemente inamovibili col tentativo – tutt’ora in corso - di costruzione di una contro-storia (sempre benvenuta purché non chiami in causa alieni e complotti giudaico-pedofili che vivono nel sottosuolo di una Terra piatta) che riguarda diverse tematiche: il Risorgimento, il Fascismo, la Liberazione, Garibaldi (c’è chi sostiene fosse solo un terrorista), la Resistenza… C’è però un argomento che resta fuori dai giochi. Non dibattuto, non negato, non oggetto di controversie. Semplicemente ignorato, minimizzato o dimenticato: il colonialismo italiano. Colonialismo è un termine che implica inevitabilmente violenze inflitte – si pensi a quanti “abissini” abbiamo sterminato con l’iprite - nel nome di interessi economici basati su un’implicita presunta supremazia che va dal più bieco razzismo biologico a quello paternalistico e progressista (i portatori di “civiltà”) incapace di tenere conto del relativismo culturale. Nella memoria collettiva si tende a ricondurre il colonialismo italiano alla breve impresa dell’Impero fascista in Africa Orientale creando così un’inconscia ed autoassolutoria sovrapposizione tra crimini coloniali e crimini fascisti. Come al solito la Storia è più complessa e articolata: il colonialismo italiano è durato ottanta anni ed è quasi sempre stato promosso dalla Sinistra storica in virtù di quel paternalismo progressista di cui si parlava (lo stesso che porta oggi i vari Biden, quando non dorme, o le Hillary Clinton con l’aria da maestrina a promuovere l’esportazione forzata della democrazia). Ma come ha avuto inizio il colonialismo italiano? Tutto era iniziato con un Atto di compravendita. Un atto tra controparti aventi la medesima dignità giuridica: è il 1869, i sultani di Assab, sulla costa eritrea del Mar Rosso, vendono a Giuseppe Sapeto, esploratore, studioso e affarista, un territorio compreso tra il monte Ganga e Capo Lumah. Sapeto ha acquistato quella baia per conto della Compagnia di navigazione genovese Rubattino. La gestione della base d’approdo da parte della Compagnia sarà disastrosa e la proprietà verrà ceduta dagli armatori (privati) allo Stato italiano. L’amministrazione fiduciaria dell’Italia sulla Somalia invece cesserà ufficialmente nel 1960… ma cosa è successo nel frattempo?

Chi ha avuto modo di apprezzare Mussolini ha fatto anche cose buone non si sarà perso e non vorrà sicuramente perdersi questo Noi però gli abbiamo fatto le strade, per alcuni aspetti ancor più interessante perché inerpicato su un territorio molto poco esplorato non tanto dalla storiografia, quanto dalla memoria collettiva e dalla memoria “pubblica” ancora affezionata al mito autocostruito degli “italiani brava gente” (oddio, non del tutto falso se si pensa alla minor solerzia con la quale gli italiani hanno applicato le infami Leggi Razziali rispetto ai tedeschi… per una volta lo scarso Patrio zelo ha annacquato un veleno). Questo eccelso storico che porta il nome di Francesco Filippi ha trovato l’equilibrio perfetto nel suo stile: serio ma non accademico, fruibile ma non “divulgativo” in senso deteriore (ovvero rispetta il lettore non partendo dal presupposto che sia un demente da intrattenere), ordinato nello schema narrativo senza cadere nella tassonomia, equidistante ma non freddo e infine… forse qui c’è da ringraziare la casa editrice Bollati Boringhieri, rullo di tamburi: le note sono a PIE’ DI PAGINA e non ammucchiate in una sorta di “Pagine Gialle” – per chi se le ricorda - che dopo un po’ il lettore smette di consultare (sul perché alcuni insistano nel fare questo ci sarebbe da scrivere un pamphlet). Insomma, un libro da leggere anche per comprendere non solo la facilmente intuibile “rapacità” dell’Occidente, ma anche per schiudere gli orizzonti mentali ed uscire dalla mancanza di relativismo culturale di matrice progressista ed evoluzionista a senso unico. Per richiamarci al titolo, sì, gli “abbiamo fatto le strade”: ma le nostre strade, quei popoli, le volevano?