
Linda May, sessantaquattro anni, si inerpica per una strada di montagna guidando un furgone sgangherato con una roulotte anni Settanta al traino. Si potrebbe scambiarla per una pensionata amante del campeggio, ma la realtà è molto diversa. La roulotte vintage è la sua unica casa, ironicamente soprannominata lo “squeeze in”, dato che per vivere in una capsula alta un metro e sessantadue con un cane e l’occorrente quotidiano bisogna necessariamente “schiacciarsi”. Sebbene sia diretta verso un idilliaco bosco californiano, Linda non va a godersi un weekend di relax quanto a lavorare come host del campeggio per la stagione estiva. Dovrà fungere da cassiera, giardiniera, sorvegliante e inserviente, pulendo i water tre volte al giorno e spalando la cenere dei fuochi di bivacco. Una volta terminata l’estate, si rimetterà in viaggio per raggiungere i magazzini di Amazon in Nevada, dove trascorrerà ore interminabili a scannerizzare la merce e riporla in immensi scaffali. Un lavoro faticoso e inadatto al suo fisico che, l’anno prima, le ha già procurato una dolorosa tendinite. Linda non è un caso isolato. Fa parte della tribù dei nomadi americani: uomini e donne che hanno deciso di abbandonare le convenzioni sociali per vivere su veicoli a due ruote - furgoni, scuolabus, pick-up, persino vecchie sedan - ingegnosamente trasformati in case ambulanti. Non si tratta di una scelta ideologica da hippies anticonformisti ma di una necessità. In una fase di recessione in cui gli stipendi sono stagnanti mentre il costo delle case aumenta e in assenza di un sistema di welfare, liberarsi dalle catene del mutuo o dell’affitto sembra essere l’unico modo per “sopravvivere all’America”…
Jessica Bruder è una giornalista americana che scrive di sottoculture, esplorando i lati oscuri dell’economia moderna. Come gli autori della beat generation, da Bukowski a John Fante, racconta l’infrangersi del sogno americano attraverso le storie delle masse silenziose che sopportano enormi fatiche, fisiche e mentali, per sbarcare il lunario. Non utilizza il mezzo della letteratura quanto il reportage: dopo aver trascorso mesi in viaggio seguendo le orme dei vandwellers (letteralmente, gli abitanti dei van), descrive con dovizia di particolari le loro incredibili esperienze. Come Linda May, in molti hanno perso la casa e i risparmi durante la grande recessione, altri sono stati strozzati dai debiti in seguito a eventi traumatici come una malattia o un divorzio, altri ancora si sono ritrovati esclusi dal mondo del lavoro perché le loro competenze sono diventate obsolete. Quando ci si trova a scegliere tra pagare il dentista o la spesa, la bolletta o il mutuo, bisogna tagliare le spese più consistenti e abbandonare le comodità della vita borghese che si davano per scontate. Eppure, è in situazioni disperate che emerge l’umanità degli individui: i nomadi si riuniscono in comunità, si scambiano strategie di sopravvivenza e fanno collette per aiutare chi si trova in maggiore difficoltà. Pian piano finiscono per apprezzare la semplicità di una vita spogliata dal consumismo e arricchita da relazioni profonde e dal contatto con la natura. Con una scrittura fresca e ricca di aneddoti, l’autrice denuncia un fenomeno della società americana a lungo ignorato, rivelando al contempo la straordinaria capacità degli uomini di trovare significato e fratellanza nelle avversità. La regista Chloé Zhao è riuscita a rappresentare la stessa combinazione tra anelito di libertà e ricerca di senso nell’omonima trasposizione cinematografica del 2019, magistralmente interpretata da Frances McDormand e premiata con il Leone d’oro alla Mostra internazionale del cinema di Venezia.