
Berlino, 1997. Domani sarà il suo ottantesimo compleanno e la casa si riempirà di figli e nipoti, nuore e amici. Grete è certa che suo marito Rudi si agiterà al punto tale che dovrà ricorrere alle gocce per la pressione. Grete ha amato molto la sua vita; ne ha amato ogni risvolto, giusto o ingiusto. Ha accettato i colpi del destino che hanno rischiato di annientarla, ma l’hanno resa viva e palpitante e le hanno regalato anche intensi momenti di felicità. I suoi genitori sono sopravvissuti a lungo alla guerra. Ha avuto la fortuna di trascorrere gran parte dei propri giorni accanto all’uomo che ama e ha avuto due figli sani e intelligenti. In questo momento Grete, dopo una breve sosta nel giardino di casa, si dirige verso la serra - l’album fotografico tra le mani - per dedicarsi al rito che si ripete sempre uguale a ogni vigilia di compleanno. La prima foto è quella dei suoi genitori che si tengono per mano. Poi c’è un’immagine del nonno, che tiene in braccio il gatto Fledermaus. Il nonno è stato suo amico e suo complice. Ha vissuto a lungo con lei e la sua famiglia, dopo che la nonna era morta a causa del diabete. All’epoca vivevano a Monaco; suo padre gestiva una drogheria di cui Grete ricorda ancora le vetrine stracolme di merce. L’appartamento di Monaco era buio, ma grande e confortevole. È un periodo, quello, che Grete ricorda con piacere, nonostante qualche ombra in agguato. Sua madre, in particolare, mostrava preoccupazione per un tizio che da un po’ di tempo faceva parlare di sé. Un tale Adolf Hitler, per il quale il papà di Grete, invece, stravedeva. Si era addirittura iscritto al suo partito. Un giorno, poi, senza che la mamma ne sapesse nulla, l’aveva portata con sé ad incontrare quel signore. I due avevano parlato a lungo e quel che si erano detti Grete lo aveva scoperto giorni dopo, quando suo padre lo aveva raccontato a un amico commerciante. Hitler voleva liberare la Germania da un popolo micidiale e dannosissimo: gli Ebrei…
Una narrazione che procede a ritroso e svela una delle più atroci barbarie perpetrata dal regime nazista, in nome di una ricerca della perfezione maniacale e inumana. Helga Schneider - autrice originaria della Slesia e residente da oltre cinquant’anni in Italia; penna capace di raccontare, con delicatezza e schiettezza, alcuni dei momenti più bui della Storia e dell’umanità - denuncia le ipocrisie e le contraddizioni del governo di Hitler, descrivendo, in particolare, il suo programma segreto di eutanasia che aveva lo scopo di eliminare ogni soggetto considerato imperfetto e, pertanto, indegno di vivere. Facevano parte di questa categoria sia i pazienti ricoverati nelle strutture psichiatriche, sia i bambini che venivano al mondo con malformazioni genetiche, inclusa la sindrome di Down. Con la scusa di curarli in strutture specializzate, le autorità invitavano le famiglie, fiduciose di regalare ai figli la miglior assistenza possibile, a segnalare direttamente i casi di disabilità. In realtà la sorte dei bambini era segnata sin dall’inizio: i piccoli venivano eliminati senza pietà, spesso utilizzando sovradosaggi di farmaci tossici. La Schneider affida a Grete, la protagonista del romanzo, il compito di narrare l’atrocità e l’orrore che una pratica tanto barbara comporta. La giovane donna vive la maternità solo per pochi giorni, prima che il suo piccolo venga dato in pasto a una legge che di umano non ha alcunché. Un dolore che scortica e annienta, ma al quale la giovane Grete reagisce trovando il coraggio di chiamare con il suo vero nome- assassinio- una pratica accettata da tutti senza battere ciglio. La sua denuncia avrà conseguenze devastanti per lei e il suo futuro, perché il regime nazista non tollera insubordinazioni. Sarà il tempo ad aiutarla a rimarginare ferite profonde, che segnano l’animo e la carne. Una lettura dura, che svela i profondi abissi della mente umana e li sa raccontare con lucidità ed empatia, senza alcun ricorso alla retorica. Una vicenda che fa male, ma necessaria per fotografare una pagina di Storia che non deve essere dimenticata.