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Non ha mai quiete

Milano, Natale 1489. Leonardo Da Vinci, che si è trasferito nella città lombarda ormai da otto anni ma ancora non riesce ad abituarsi al clima, al carattere chiuso dei milanesi e al loro dialetto duro, sta lavorando a quello che si preannuncia come un evento davvero memorabile: la grande festa organizzata a Castello Sforza dal suo mecenate, Ludovico il Moro. Leonardo è vicino ai quarant’anni, e sebbene non possa ancora dirsi vecchio, avverte già “in corpo smottamenti e cedimenti, per esempio alle giunture” e una crescente debolezza alla mano destra. Questo non gli ha certo impedito di concepire uno spettacolo grandioso per la festa del 13 gennaio: un’enorme macchina teatrale a forma di mezzo uovo, raffigurante il Paradiso, che calerà dall’alto durante il ballo dei pianeti e delle stelle. Le prove ormai procedono a ritmo serrato, nulla deve andare storto, Ludovico Sforza si aspetta da lui un evento indimenticabile, che si imprima indelebile negli occhi e nella memoria dei suoi nobili ospiti. È lo stesso desiderio che Leonardo prova per un’altra sua opera, una cosa a cui tiene molto, molto di più della festa e persino più del ritratto di Cecilia Gallerani, l’amante del Moro, la “dama con l’ermellino”, che ha già praticamente terminato: uno studio per il Cenacolo. I tratti dei visi degli Apostoli e del Cristo lo ossessionano, non si accontenta mai e non fa altro che scrutare i visi della gente che incontra alla ricerca di lineamenti da copiare, da usare nel suo dipinto…

Il raffinato romanzo di Valentina Fortichiari coglie Leonardo da Vinci in un momento cruciale della sua vita e della sua carriera artistica: quando cioè, dopo che nel 1482 era stato inviato da Lorenzo il Magnifico a Milano come una sorta di “ambasciatore della cultura”, stava con fatica – ma anche con una sorta di ammirazione – adattandosi ai ritmi e alle atmosfere milanesi, così lontane dalla sua Firenze. Fattosi strada alla corte degli Sforza, il genio toscano – che è appena entrato nella sua maturità artistica ed intellettuale – produce e progetta senza posa dipinti di grande qualità e studi ingegneristici incredibili per la sua epoca: al suo fianco un piccolo gruppo di giovani assistenti malpagati (come malpagato si lamenta di essere lui da Ludovico il Moro) e l’umile madre. Intersecano la sua traiettoria umana, emozionale ed intellettuale in queste pagine altri personaggi-chiave del Rinascimento, per esempio il pioniere dell’editoria Aldo Manuzio, il filosofo Giovanni Pico della Mirandola, oppure personaggi di fiction come le ragazze inglesi Clarice e Rachel, che attraversano l’Europa per incontrare Da Vinci (e il loro destino). Lo stile della Fortichiari è lontanissimo dagli stilemi imperanti nel genere: il suo Leonardo non è uno stregone o un guru, ma solo un uomo tortuoso, tormentato, irrisolto, che riesce ad esprimersi solo con la sua arte. E che come tutti i personaggi del libro è in ascolto del proprio corpo, in una contemplazione attonita della propria imperfezione, della propria malattia, dei rudi misteri della sessualità e della morte. Una debolezza struggente che è ciò che rende umani e si estrinseca anche nell’irrompere improvviso nella trama di fenomeni naturali inspiegabili (per i protagonisti) come terremoti e onde anomale. Ecco, l’acqua: un tema che sembra stare profondamente a cuore a Valentina Fortichiari sin dal suo romanzo d’esordio, paradigmaticamente intitolato Lezioni di nuoto (l’autrice stessa è una ex nuotatrice di buon livello agonistico). Anche qui le sequenze durante le quali i personaggi nuotano non solo non mancano, ma anzi hanno una centralità estetica e direi spirituale, perfettamente coerenti con una narrazione tutta giocata sul “fronte interno”, sul flusso di pensiero più che sul dialogo, sulla riflessione più che sull’azione. Perfetto per chi ha voglia di immaginare un Leonardo Da Vinci lontano dai cliché. Anima e cuore, che non hanno mai quiete: come l’acqua, come Leonardo.