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Non mi sei mai piaciuto

Non mi sei mai piaciuto

“Connie viveva proprio davanti a casa mia”, esordisce Chester, tornando indietro di vent’anni o giù di lì, grossomodo alla quarta elementare. I due bambini andavano a scuola insieme; lei bussava sotto casa, era tanto bella, lui chiaramente sognava quel momento tutti i giorni. Quella mattina, Chester scende ad aprirle, come tutte le volte. E come tutte le volte è particolarmente felice. “Cazzo, lo sapevo che eri tu!”, esclama. Sua mamma sente. Sente e si infuria. Arriva, prende e lo strattona forte e sbraita che non vuole mai più sentire dire quelle parole, mai più. Chester e Connie vanno a scuola, camminando in silenzio. Poi Connie, mani in tasca, prende e mette un carico da undici: “Mia madre dice che solo gli ignoranti e i cafoni parlano in quel modo”. Camminano in silenzio. Avanti nel silenzio. Stacco. È passato qualche anno. Adolescenza o giù di lì. Chester torna a casa da scuola; sul garage trova scritto “I love Chester”. Rimane inerte, indifferente. Sale su in cameretta e si mangia un biscotto, guardando nel vuoto, lo sguardo assente. Sente chiacchierare giù in giardino, c’è qualcuno che sta commentando la scritta sul garage. Adesso sì, qualcuno lo chiama per nome. “Chester! Hai visto la scritta sul garage?”. “See”. E no, non sa chi è stato. Forse manco gli interessa. Suo fratello Gordon, più piccolo, stuzzica. Chissà chi è stato. Carrie, la sorella minore di Connie, dice di non guardare lei, che mica è stata lei, e quindi nessuno ha idea di chi sia stato. Stacco. Gordon sale su in camera da Chester, dice “è stata Carrie, lo sai?”, “Lo so”, glissa Chester. E via. Stacco. La mamma di Chester sta stirando. Il ragazzino entra di soppiatto. Mani dietro la schiena. Che succede? Guarda la mamma. Mamma vieni. Che ti prende, Chester? Vieni a vedere, mamma. Ho fatto la frittata. Mi è cascato un uovo, facevo il giocoliere. La mamma è tutta dolce e comprensiva, abbraccione e via. Stacco. Siamo a scuola. I ragazzini hanno fatto caso a una stranezza, Chester mica dice parolacce, manco per niente. “Chester, dai di’ cazzo, Chester, di’ cazzo, dai, dillo, su”, “No”. Non c’è verso, niente, Chester non dice più le parolacce...

Originariamente apparso a puntate sulla rivista a fumetti “Yummi Fur”, diretta proprio da Chester Brown, tra 1991 e 1993 (con altro titolo: Fuck) poi in volume nel 1994 per la canadese Drawn & Quarterly, l’autobiografico e adolescenziale Non mi sei mai piaciuto torna a disposizione del pubblico italiano a ventidue anni dalla prima edizione (Black Velvet, 1999) in questa Rizzoli Lizard, tradotta da Vincenzo Filosa e accompagnata da una enfatica prefazione di Francesco Pacifico (chiamata “Il potere sovversivo di un abbraccio”). A dar retta a Gilbert Hernandez, siamo dalle parti del capolavoro; l’artista si è spinto a considerarlo irrinunciabile, alla stregua di Maus. Pacifico invece ritiene che questo fumetto dovrebbe stare “in cima al mondo, insieme a Ghost World di Daniel Clowes”: considera Chester Brown un “mago dei tagli, del montaggio, della sequenza” e addirittura “un maestro dei dettagli” e trova questo suo lavoro giovanile sia un “potente sortilegio contro le illusioni amorose e le commedie romantiche”. Per la prestigiosa rivista “Fumettologica”, invece, Non mi sei mai piaciuto è “opera di grande precisione”, poggiata su “un forte dominio del linguaggio”, rappresentazione leale di un microcosmo provinciale. Direi che il giudizio di “Fumettologica” è decisamente più equilibrato, compassato e leale alla qualità di questo memoir giovanile; un lavoro tenero e ondivago (parecchio), destinato a consolare i dissociati, gli afasici e i sociopatici, o giù di lì, e a spolverare l’intensità di sentimenti lontanissimi. La ferita d’infanzia e adolescenza dell’artista canadese è la coesistenza con una mamma schizofrenica: da quel rapporto sono derivate e discese tutta una serie di difficoltà o di complessità nelle interazioni sociali e sentimentali, qui descritte con varia fortuna e rapsodico romanticismo. Blankets è di un altro pianeta. Qualche cenno sull’artista. Chester Brown (Montréal, 1960), espressione della minoranza anglofona in un territorio storicamente francofono, ha avuto una prima credibile affermazione internazionale con una graphic novel dedicata a un ribelle francocanadese, Louis Riel, nel 2013; nell’underground, era invece apprezzato sin dai tempi di Ed the Happy Clown – parliamo degli anni Ottanta. Qui in Italia, diversi suoi lavori sono stati pubblicati da case editrici notevoli come Coconino Press e Bao Publishing.