
Dopo la separazione dal marito Bashir, scienziato pachistano con cui viveva a Londra, Ada fa ritorno a Serana, nell’Alta Val di Susa, portando con sé il figlioletto Giacomo, con la speranza che il cambio di vita da una megalopoli a un paesino di montagna possa aiutarla a superare i momenti tragici che ha vissuto. Nel piccolo borgo natale la donna ritrova la madre, con la quale non ha mai avuto un buon rapporto, la migliore amica Mariella, così diversa da lei eppure così vicina, il parrucchiere gay Radames e un microcosmo di uomini e donne che credeva di aver dimenticato. Ma la nuova vita non sembra risolvere i suoi problemi, nemmeno il corso di ceramica al quale si è iscritta, così come non risolve quelli di Giacomo, bambino intelligente ma introverso, che non riesce a legare con i suoi compagni, alcuni dei quali lo chiamano “il moro”. Alla madre racconta di avere però fatto amicizia con Robi, un misterioso bambino dai capelli rossi con il quale fa lunghe passeggiate nei boschi fino al vecchio castello diroccato, di cui si raccontano strane leggende esoteriche che in pochi ricordano e delle quali nessuno vuole parlare. Ada intesse relazioni fugaci sempre più complicate con uomini che conosce appena o che non dovrebbe frequentare, come se fossero atti liberatori e alternative ai sonniferi che prende e che la stanno conducendo in un limbo profondo, mentre Giacomo si nasconde nel bosco sempre più remoto, trascinato dall’amico Robi da cui non riesce a staccarsi. Serana è un piccolo paese dove si conoscono tutti. Quando una bambina scompare all’improvviso e quando strane scritte simili a rune compaiono dipinte sui muri, l’attenzione di tutti si rivolge al piccolo Giacomo e a sua madre, che tutti sembravano conoscere ma che all’improvviso appaiono come sospetti e malvagi...
Di Non sono stato io, nelle note al testo, si parla come di una storia avvincente e tenera, con una scrittura seria, divertente e semplice. Un commento francamente spiazzante, dopo averne terminata la lettura. Tutt’altro che tenero, tutt’altro che divertente, il romanzo di Daniele Derossi sicuramente avvince, grazie alla sua scrittura seria, questo sì, semplice ed efficace, ma comunica ansia e angoscia nel lettore, non tenerezza. Non si sorride mai. Intendiamoci, è un punto a favore. La storia di Ada e Giacomo è dura, terribile per certi aspetti. Le tragedie che la donna porta con sé da Londra, come indumenti nella valigia, non sono solo i traumi di una separazione e non riguardano nemmeno le difficoltà ad ambientarsi in un piccolo borgo di montagna, dopo aver vissuto in una grande città come Londra. Ci sono scheletri nell’armadio, ci sono incubi e ci sono mostri che escono allo scoperto dalle stanze più nascoste del castello che sta in mezzo al bosco. Perciò niente tenerezza, ma tensione emotiva ben architettata, complice anche il narratore in seconda persona che pare un avvocato accusatorio. Riusciamo a compatire Ada, le cui reazioni sono sempre sbagliate ma che con ogni suo gesto sembra chiedere aiuto e cercare una scappatoia; possiamo capire Giacomo, lasciato solo nonostante gli affetti in un mondo di luci ombre che lo sta stravolgendo. Non sono stato io non è una giustificazione, ma è anch’esso un grido di auto che non viene ascoltato. Il male esce dal castello, attraversa il bosco e arriva in paese, come una nebbia pesante. C’è sempre, ma non si vede mai. Daniele Derossi ci racconta una favola nera, che plasma scenari reali, con un finale forse un po’ sbrigativo ma che, tutto sommato, non guasta all’intera storia.