
Audrey è seduta in un pub sportivo col suo primo appuntamento numero 37, un ebete “per nulla scopabile” che però almeno si è accorto che il suo bicchiere è desolatamente vuoto, anche se dopo venti minuti buoni. Mentre John, o Jim o forse Jack (non si ricorda come si chiama lo sfigato di turno) si offre di andarle a prendere un’altra birra, lei viene catturata da un fondoschiena notevole, due rotondità perfette fasciate da semplici jeans. Deve tuttavia distogliere presto lo sguardo da cotanto ben di Dio, per riportarlo sul suo insulso accompagnatore che torna a sedersi troppo presto. Chissà se nel panorama dei primi appuntamenti newyorkesi trentasette è un buon numero o meno, Audrey non lo sa, però sta cominciando a rassegnarsi alla necessità di doversi accontentare di trovare un uomo dignitoso, anziché straordinario. Certo, il suo lavoro le impedisce di rinunciare del tutto all’idea del sesso: per chi di professione scrive di erotismo, non è facile scegliere la pace dei sensi, soprattutto se di carattere non si è proprio votati al sacrificio. La conversazione langue, John-Jim-Jack è irritante col suo atteggiamento supponente e la sua giacca orrenda e Audrey continua a lanciare occhiate all’angolo in fondo al locale, dove sedere-delle-meraviglie sta giocando a freccette. La decisione è semplice: l’appuntamento numero trentasette è finito. Audrey abbandona il suo noioso accompagnatore alla volta del bagno, che guarda caso è proprio adiacente all’angolo delle freccette…
Non sono una signora chiude la serie della Premoli sulle scrittrici newyorchesi, pur restando comunque un romanzo auto-conclusivo. Narrato a due voci, alterna i punti di vista di Audrey e Matt che raccontano le vicende in prima persona e insieme costruiscono la trama senza sovrapporsi, arricchendola di emozioni e opinioni. Scorrevole e ben scritto, si giova di uno stile frizzante e moderno, ma l’intreccio è un tantino banale e superficiale, almeno fino alla metà circa, mentre la seconda parte è decisamente più profonda e riflessiva, perché mette sul piatto una serie di temi su cui riflettere: trasgressione, giudizio e pregiudizi, stereotipi e tabù, amore e amicizia, capacità di essere flessibili e saper cambiare idea: “Le persone si scandalizzano di fronte a quello che non conoscono e che temono. La paura di ciò che è ignoto si combatte con una graduale conoscenza…”. Peccato per i dialoghi, improbabili e costruiti, ricchi di termini troppo ricercati anche nelle conversazioni informali, e dell’eccessivo uso di discorso indiretto che appesantisce la narrazione, che poteva essere alleggerita anche con più show-don’t-tell (sarebbe stato sfoltito di qualche decina di pagine, senza che se ne sentisse la mancanza). Molto bello, invece, il percorso di crescita emotiva dei due personaggi: Anna Premoli è brava a raccontare la maturazione e il cambiamento dei protagonisti. Qualche refuso che non disturba la lettura e poco sesso senza troppi particolari, in favore di gran lunga dell’amore, perché in fondo anche per i più cinici “Alla fine l’amore è un atto di fede”.