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NonnaDiciannove e il segreto del Sovietico

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Sulle strade di PraiaDoBispo nei primi anni Ottanta le grida gioiose dei bambini che masticano la polvere eterna delle strade si mescolano a quelle degli uccelli, alle chiacchiere delle Nonne, alle uscite intemperanti di SpumadelMare, ai vaniloqui scientifici di 3.14. L’aria risuona di lingue straniere, alcune dure e incomprensibili come il russo del compagno Botardov (così soprannominato per l’unica parola portoghese che conosce e pronuncia pure malamente botard, appunto, buona sera), altre morbide e amichevoli come il cubano del dottor RafaelTocToc così soprannominato per la mania di bussare alle porte, anche quelle aperte. Charlita, Paulinho, Gadinho e gli altri bambini trascorrono il loro tempo all’aperto, passano in casa il tempo indispensabile a nutrirsi, dormire, origliare i discorsi dei grandi quel tanto che basta da capire che sono nell’aria grandi cambiamenti, si vivono grandi inquietudini. I Sovietici si preparano ad abbattere il loro amato quartiere per fare spazio al Mausoleo in onore del compagno presidente Nheto e NonnaAgnette si prepara a subire l’amputazione di una delle dita e a diventare perciò NonnaDiciannove. I bambini decidono di studiare un paino per sventare la distruzione del quartiere. La colonna sonora delle loro interminabili, afose giornate estive sono le storie che le nonne intessono per fornire loro una mappa del passato, in modo che in futuro abbiano tutte le coordinate per tornare a visitarlo. Ci sono personaggi reali e immaginari nel loro quotidiano, del presente e del passato, figure come Carmen Fernandez che ha partorito un sacco di formiche prima di partorire un bambino, o come Nonnacatarina che sceglie a chi mostrarsi e a chi parlare…

Il passato, dice NonnaAgnette, non è un tempo ma un luogo e Ondjaki sembra essere della stessa idea, poiché il libro è un viaggio, un ritorno verso quel luogo al contempo concreto e sfuggente che è l’infanzia, con i suoi odori, sapori, suoni; un ritorno a tratti doloroso e a tratti gioioso a un mondo che sta lì, cristallizzato nell’attesa di riprendere vita ogni volta che qualcuno torna a visitarlo. Le famiglie vissute attraverso gli occhi dei bambini sono realtà allargate - l’autore ha dichiarato di recente di avere avuto diciassette nonne, di cui due di sangue - adulti e bambini fanno del proprio meglio per salvaguardare gli uni il mondo degli altri, e per gettare ponti tra presente e passato, tra reale e immaginario, tra reale e magico; tra mono dei vivi e mondo dei morti c’è una zona luminosa che i bambini attraversano continuamente, in un andirivieni all’insegna della confidenza, senza paure e pregiudizi. Altra caratteristica fondamentale dei bambini (e di molti adulti) di questo libro e del precedente Buongiorno Compagni! è l’assenza di pregiudizi. I bambini osservano i bruttissimi occhiali che Charlita talvolta condivide con le sue sorelle per consentire anche a loro di vedere le telenovelas, ascoltano i discorsi di Pi, ribattezzato 3.14 da SpumadelMare al suo ritorno da Cuba con una laurea in matematica, non dimostrano di provare pena per la miseria e la follia di SpumadelMare, non mettono in discussione le apparizioni di NonnaCatarina. Osservano tutto con curiosità e sono assolutamente includenti, hanno una capacità di accettazione di eventi e persone che è il tratto distintivo che infonde alla narrazione di Ondjaki un senso di serenità quasi magica.