
Tutta colpa di quella dannata deviazione: la stradina sconosciuta di campagna, lei che perde il controllo dell’auto, che finisce irrimediabilmente con le ruote anteriori nel fossato. Abigail è intontita: ha battuto la fronte sul parabrezza. Si è tirata fuori dal veicolo, mollando la borsa con il cellulare. Ha perso una scarpa. Per fortuna lì vicino c’è “una dignitosa abitazione in stile coloniale fatta di legno, mattoni e pietra”: una casa, tanto somigliante alla sua… È proprio lei a dare il benvenuto all’asta da “Sotheby’s” riservata ai collezionisti d’eccezione: Miss Golden Dreams 1949, in tutto il suo clonato splendore! Ricreata dal DNA originale della “Sex Symbol Numero Uno del ventesimo secolo”, addirittura potenziata, nella versione PlastiPlutoniumLux! Via le parti del cervello “che un tempo custodivano ricordi problematici”, denti più bianchi, e, al posto del sangue, un afrodisiaco liquido rosso, tre volte più efficiente nel trasportare ossigeno. Si parte da 22 milioni di dollari. Chi farà l’offerta più alta si porterà a casa una vera, conturbante, Marilyn, in carne e ossa, il “culmine dell’evoluzione umana: una femmina infinitamente desiderabile, ma priva di minaccia. Una bambina, ma una bambina sessualizzata”… LK è tornata a Detroit. Mia, la sua migliore amica ai tempi del college, sta morendo. Questo non le ha tolto la voglia. Col tempo ha affinato le arti - truccarsi, colorarsi i capelli, scegliere i vestiti, curare le unghie -, per suscitare la curiosità maschile. Non vuole uno qualsiasi: “volere accanitamente un uomo non significa volerli tutti o volere qualsiasi uomo accanitamente, o anche solo vagamente, dato che LK è selettiva: non è (ancora) disperata. O, anche se è disperata, non agirebbe in modo avventato”. Mentre è appoggiata sulla ringhiera sull’argine del fiume, si scopre intrigata dal robusto e spavaldo sconosciuto con l’orecchino d’oro che la avvicina: un artista locale che la invita a visitare il suo studio, poco distante… Ha fatto quel che ha fatto perché le è stato ordinato dall’uomo che amava, che le aveva inciso la svastica sulla fronte, e che avrebbe smesso di trovarla bellissima, se lei avesse disobbedito. Sono trascorsi più di cinquant’anni da quell’agosto 1969, e ormai non è più quella ragazzina diciannovenne; in carcere ha avuto modo di accogliere Gesù Cristo nel cuore, e dopo quindici rifiuti pensa di meritarsi la libertà condizionale. Ha studiato. Ha preso la laurea in prigione, e ha insegnato ad altre detenute a leggere e scrivere. Ritiene di aver saldato il suo debito nei confronti della società. È certa di aver fatto del male soprattutto a sé stessa, quella notte, quando è entrata in quella villa con le parole di Charlie che le risuonavano nella testa: “fallo in modo raccapricciante” e “non deve sopravvivere nessuno”… La linea di confine è al crepuscolo, quando il neon si accende: l’insegna del Blue Moon Café si illumina e Juliana avverte “il battito del cuore che accelera, il piacere dell’attesa. Una scarica di sensazioni, una sete profonda. E l’impazienza di estinguere quella sete”. Non ha ancora trovato il coraggio di entrarci, sebbene il locale sia sulla strada che percorre ogni giorno per tornare nella casa che lei e Patrick si sono potuti permettere di acquistare - un vecchio rudere lasciato andare in malora dai precedenti proprietari-, e che stanno rimettendo a posto. Si fermerà solo per un bicchiere, per festeggiare, ripete a sé stessa. Da un’ora sa che diventerà mamma: Patrick sarà pazzo di gioia quando lei glielo sussurrerà all’orecchio. Del resto sono diciotto mesi che non tocca un goccio. Entrerà, e si siederà al bancone, come faceva in un’altra vita. Eviterà di incrociare gli sguardi (anche quelli nello specchio dietro il bancone) degli uomini, che la individueranno presto: una donna sola in un bar. La presenza del punteruolo da ghiaccio sul fondo della sua borsa le dà sicurezza…
“Non c’erano parole che fossero autentiche, aveva detto il poeta. Perché tutte le parole erano diventate logore, come ciottoli resi lisci dalla marea. Logore come scalini di pietra. Troppi li avevano calpestati. Lei aveva protestato, queste parole erano genuine. Per lei. Era la prima volta che aveva amato qualcuno. Amato veramente. Supplicava quest’uomo con gli occhi tristi e scettici di crederle. Il desiderio reciproco è il rischio”. Joyce Carol Oates - classe 1938, nativa di Lockport, nello stato di New York -, dopo il suo esordio letterario, nel 1963, ha pubblicato oltre 70 romanzi e più di 700 racconti, oltre a saggi e sceneggiature. Vincitrice del “National Book Award for Fiction” nel 1970 per il romanzo Loro (https://www.mangialibri.com/loro), nonostante sia in pensione, tiene ancora corsi di scrittura creativa presso l’Università di Princeton, esperienza di cui troviamo traccia in Intimità, la cui trama verte sul disagio e sulla minaccia evocati dalla sensazione di impotenza di fronte alla imprevedibilità dei comportamenti umani. In una recente intervista all’emittente “Radio popolare” (https://www.radiopopolare.it/podcast/la-domenica-dei-libri-di-domenica-08-01-2023/), la scrittrice ha spiegato come sia stato naturale estendere all’intera opera il titolo dell’ultimo racconto (Night, Neon in originale), per il carattere noir, quel riferimento quasi sentimentale alla notte, alle luci, alla città, e l’allusione a quell’elemento incomprensibile, enigmatico, inatteso, potenzialmente terrorizzante, che può irrompere nelle nostre vite e, a volte, riportarci al nostro lato oscuro. In Deviazione è un banale incidente d’auto in una strada mai percorsa a portare la protagonista di fronte alla prospettiva di restare vittima della follia di un ospite sconosciuto, o della propria, a seconda della chiave interpretativa che si sceglierà di utilizzare. In Curiosità è invece il famoso scrittore N. che decide di ricreare il gioco della finzione romanzesca nella realtà, finendo con il perdere il controllo della trama innescata e, forse, anche della propria integrità. L’autrice si dimostra perfetta conoscitrice degli ingranaggi che si muovono nelle stanze segrete dell’animo umano, piene di specchi deformanti, per quanto possibile celate alla vista degli altri. Li osserva in Voglia, ove esplora la complessità e la intrinseca fragilità dei meccanismi interiori di una predatrice destinata a sperimentare come, ai confini dell’insopprimibile senso di vuoto che la attanaglia, la attenda il terribile soddisfacimento di un inconscio desiderio di autodistruzione. Li descrive con fredda lucidità ne Il flagellante e, con ancora più incisività, in Udienza per la libertà condizionale, California Institution for Women, Chino, California, ove riapre la ferita della strage di Cielo Drive, commessa dagli adepti di Charles Manson (in cui venne uccisa l’attrice e modella Sharon Tate, moglie del regista Roman Polansky, incinta di otto mesi), immergendo la sua penna nel nero inchiostro dell’anima di Patricia Krenwinkel, “Big Patty” -, per tratteggiare quel Male che seduce l’individuo e vi si radica, fino a divenirne perno costitutivo, impossibile da redimere. Menzione speciale per Miss Golden Dreams 1949, in cui la scrittrice torna sulla figura iconica e sul mito di Marilyn Monroe per scardinare con una scrittura feroce, violenta, ogni residua ipocrisia di una società maschilista, patriarcale, consumistica, dando nuovamente voce a quella Norma Jean Baker usata, e abusata, a cui ha dedicato il sofferto e intenso Blonde (https://www.mangialibri.com/blonde); e per la lunga novella di chiusura, che, come detto, dà il titolo al volume, ipnotica nel suo descrivere le circonvoluzioni esistenziali di Juliana, anima irrequieta che vaga tra i riflessi fluorescenti dei neon delle insegne dei bar che sembrano disegnare una costellazione interiore - quasi un segno zodiacale -, e tracciare un destino.