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Notte di battaglia

Notte di battaglia

Swiw frequenta il Centro di smontaggio a scuola. Lo ha scelto tra le attività personali degli alunni. A lei piace smontare e rimontare le cose, capire come sono fatte. Quando suona la campanella spesso borbotta con l’insegnante, perché non sempre riesce a finire il suo lavoro. Una mattina risponde male alla maestra, usa un tono aggressivo e per questo l’espulsione arriva immediatamente: e non è la prima. Swiw vive in un piccolo appartamento a Toronto con sua madre Mooshie, attrice di teatro - insofferente per la gravidanza quasi a termine - e con sua nonna Elvira, vedova e di salute molto cagionevole. I suoi turbamenti li scrive in una lettera al suo assente papà. È un esercizio che ha dato la terapeuta familiare da cui vanno tutte e tre. Scrivere per evidenziare le loro difficoltà. La mamma dice che la terapia costa e non se la possono più permettere. La nonna, nonostante gli acciacchi, con la sua mente sveglia propone di fare da sole, formando un comitato di redazione per continuare a scrivere le lettere a chi c’è e a chi non c’è più. Lei ne sta scrivendo una a Dio. La mamma però non ama le lettere, che possono essere mal interpretate e tantomeno ama le fotografie non vuole essere inchiodata in un attimo. E poi ha altri problemi: la gravidanza, il teatro, il suo regista e la casa che sta per essere demolita...

Caratteristica di Miriam Toews è quella di raccontare nei suoi romanzi le famiglie disfunzionali, il tema del distacco e della perdita. In Notte di battaglia lo fa usando la cifra dell’ironia, declinata in vari modi: tenerezza, sarcasmo, situazioni rocambolesche. Le donne protagoniste del romanzo sono tre: Elvira, la nonna ottuagenaria, Mooshie - la mamma con una vita complicata - e Swiw, la bambina di otto anni figlia e nipote delle due donne. È la bambina la voce narrante del romanzo ed è lo sguardo con cui il lettore vede la storia. In questa famiglia dove tutto è sottosopra l’adulta è la bambina. Con il suo fare assennato e con l’idea di tenere tutto in ordine e sotto controllo si fa carico di responsabilità più grandi di lei. Si prende cura della nonna e tra medicine, calze antitrombo e viaggio a San Francisco, i pensieri di Swiw si fanno chiari al lettore. Il rapporto d’amore che lega nonna e nipote è immenso e seppur nei suoi modi strampalati di insegnarle la vita, nonna Elvira sa quanto talento c’è in sua nipote e quanto poco tempo le resta da vivere. Non ci sono uomini in famiglia. Il romanzo, tuttavia, è una lunghissima lettera piena di fatti e aneddoti, scritta da Swiv e indirizzata a un padre senza nome. Già quando la mamma, anni prima, era stata via, per oltre quattro mesi all’estero per un film, s’era dovuta occupare del papà che, depresso, stava scivolando verso l’alcolismo. Dopo l’ultimo litigio con la moglie, s’è allontanato da casa senza dare più notizie di sé, né tantomeno tornare. Il romanzo è tenero e commovente e lo stile dell’autrice che si cala in una bambina di otto anni è giusto. Il caos, gli incisi e le digressioni che spezzettano i discorsi diretti vengono intervallati dalle descrizioni e dai pensieri personali senza soluzione di continuità. Se da un lato questo è logico e concreto, dall’altro potrebbe affaticare e disorientare il lettore, facendogli perdere il filo della trama. Certo è che una nonna come Elvira farebbe comodo perché, nonostante i suoi ultimi cinque minuti rimasti, è sempre pronta a lanciare il suo monito che sprona alla vita: “Siamo tutte combattenti. Siamo una famiglia di combattenti”.