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Novelle orientali

Novelle orientali

Il vecchio pittore Wong-Fo e il suo discepolo Ling se ne andavano lungo le strade del regno di Han. Il pittore contemplava di notte gli astri, di giorno le libellule, amante non delle cose, ma delle loro immagini. Ling un tempo era ricchissimo e sposato con una leggiadra fanciulla, ma un giorno incontrò il pittore ubriaco, lo ospitò nella sua residenza e tutto cambiò… Il mare, così azzurro quel mattino al largo, prendeva tinte cupe all’interno di un fiordo sinuoso in vicinanza dei Balcani: la violenza dei colori e la fierezza nuda del cielo portavano i segni dell’Oriente e dell’Islam. I passeggeri avevano messo piede a terra, sul ponte superiore erano rimasti il pascià egiziano, l’archeologo greco e l’ingegnere francese. L’occasione è buona per ricordare le gesta di Marko Kralièvitch, un Achille che sapeva sorridere della seduzione… Una donna murata viva chiede che i suoi seni siano lasciati scoperti per allattare il suo neonato, ma c’è madre e madre… Genji il Rifulgente, il più incallito seduttore dell’Asia intera, sentì la morte avvicinarsi, si ritirò in eremitaggio per dimenticare i piaceri della carne. Una cecità progressiva lo teneva lontano dal mondo, ma una amante che non lo aveva dimenticato lo cercò, fino alla deludente scoperta…

Davanti a Marguerite Yourcenar avverto sempre un religioso stupore per quanto di creativo, magico e colto ella abbia prodotto. Questo avviene incondizionatamente per tutte le sue opere, ma di fronte a queste Novelle orientali non posso che artisticamente commuovermi per l’atmosfera sospesa che mi avvolge e mi tiene incatenata ad ogni singola parola, da cui non posso che apprendere l’arte del bello scrivere accanto ad una cultura sconfinata che non pesa, ma rimane leggera ad accompagnare il lettore in un mondo “altro”, che partendo da aneddoti, leggende, dicerie, sembra farsi da sé, nascere vivido e appassionato dalle mani dell’artista che scompare per lasciare alla parola il dominio indiscusso. Funambola, la Yourcenar passa da una novella all’altra, dalla Grecia alla Turchia, dalla Cina al Giappone, dimostrando senza iattanza alcuna una profonda preparazione sulla cultura orientale, lei indefessa viaggiatrice. Non si tratta di lasciarsi avvincere da facili seduzioni levantine e da frusti stereotipi, ma di osservare ancora una volta che l’opera della scrittrice è una quiete in movimento, in cui stati di equilibrio e di incantesimo corrono sul filo del rasoio vicini al precipizio. L’ago della bilancia è la parola leggera, leggiadra, quasi evanescente che tempera e contiene l’inquietudine dell’umana condizione cui siamo condannati.