
Terroristi palestinesi che compiono un attentato in un hotel frequentato da ignari avventori in Sudan; tre giovani malviventi che rapiscono il figlio di un facoltoso imprenditore a Taiwan; un uomo accusato in maniera forse ingiusta di insurrezione armata contro la patria in URSS; un delinquente condannato per l’uccisione di due adolescenti nel corso di una rapina negli Stati Uniti. Tutti inquisiti, tutti condannati alla pena di morte (nel primo caso alla fine non comminata). “Occhio per occhio” per secoli è stato un detto abusato e frainteso, anche in epoca recente, come asserisce Sandro Veronesi, confutando persino la scrittrice e giornalista Oriana Fallaci, che a suo dire prende in colossale abbaglio nel suo La rabbia e l’orgoglio, in quanto il detto tradizionalmente appellato come “legge del taglione” non aveva nulla di barbarico ed è da intendere come un argine all’amministrazione umana della giustizia, per fare in modo che la pena non superi in nessun modo il crimine commesso. Ma non è così. Dalle lontane lande russe alle assolate terre californiane, dove sole e benessere non impediscono la messa a morte; dal caotico, dittatoriale Sudan, infestato dal morbo delle ideologie religiose e dove s'annida e germoglia il tragico seme del fondamentalismo alle funeste leggi di Taiwan, Paese che si ammanta di essere l’unica Cina democratica ma che punisce con la massima pena un rapimento, considerato molto più nocivo di un omicidio nel suo ordinamento legale. Quattro storie, tratte dalla cronaca, vere e documentate, di presunta giustizia…