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Occhio per occhio

Occhio per occhio

Terroristi palestinesi che compiono un attentato in un hotel frequentato da ignari avventori in Sudan; tre giovani malviventi che rapiscono il figlio di un facoltoso imprenditore a Taiwan; un uomo accusato in maniera forse ingiusta di insurrezione armata contro la patria in URSS; un delinquente condannato per l’uccisione di due adolescenti nel corso di una rapina negli Stati Uniti. Tutti inquisiti, tutti condannati alla pena di morte (nel primo caso alla fine non comminata). “Occhio per occhio” per secoli è stato un detto abusato e frainteso, anche in epoca recente, come asserisce Sandro Veronesi, confutando persino la scrittrice e giornalista Oriana Fallaci, che a suo dire prende in colossale abbaglio nel suo La rabbia e l’orgoglio, in quanto il detto tradizionalmente appellato come “legge del taglione” non aveva nulla di barbarico ed è da intendere come un argine all’amministrazione umana della giustizia, per fare in modo che la pena non superi in nessun modo il crimine commesso. Ma non è così. Dalle lontane lande russe alle assolate terre californiane, dove sole e benessere non impediscono la messa a morte; dal caotico, dittatoriale Sudan, infestato dal morbo delle ideologie religiose e dove s'annida e germoglia il tragico seme del fondamentalismo alle funeste leggi di Taiwan, Paese che si ammanta di essere l’unica Cina democratica ma che punisce con la massima pena un rapimento, considerato molto più nocivo di un omicidio nel suo ordinamento legale. Quattro storie, tratte dalla cronaca, vere e documentate, di presunta giustizia…

Un viaggio drammatico ma affascinante quello che agli inizi degli anni Novanta intraprende il romanziere toscano Sandro Veronesi. Il suo tentativo è più letterario che documentaristico, anche se la sostanza narrata purtroppo non è fiction: l’accuratezza stilistica, le scelte strutturali, gli effervescenti effetti speciali di carattere narratologico portano ad esiti letterari notevoli anche se stavolta le sue storie nascono da verbali di processo e interviste più o meno riuscite invece che dall’afflato di una fantasia ispirata o meno. Il testo, denso e corposo, forse banco di prova per i sperimentalismi strutturali (moderati) del libro successivo (il romanzo Venite venite B-52 del 1995), parte da una assioma inconfutabile a detta dell’autore: la pena di morte è un crimine efferato, la giustizia ha ben altre frecce al proprio arco per imporsi e garantire sicurezza e serenità agli amministrati. Non a caso Veronesi spiega nella lunga introduzione alla nuova edizione, riveduta e corretta solo nei dettagli e in nessun modo nella sostanza, che tutto nacque dalla sua animosità verso le allora discutibili posizioni della Chiesa cattolica di fronte alla pena capitale. Storie di ordinaria e talvolta persino quasi sciocca criminalità, con più di un risvolto inquietante e un mirabolante modo di intrigare e attirare l’attenzione del lettore.