
Trieste. Quando lei è nata, nell’anno 1957, la bora soffiava forte. La bora, una bora scura e intrisa di neve, continuava a soffiare quando uscì dal sanatorio mentre con i genitori percorreva una ripida salita che li avrebbe condotti a casa, la prima casa della sua vita. Quella casa si trova in una palazzina di cemento armato costruita, nell’immediato dopoguerra, sulle macerie di un edificio distrutto dalle bombe. In quegli anni “costruire case e mettere al mondo figli era l’imperativo quasi biologico” e i suoi genitori, come tutti, non si erano sottratti a tali impegni tassativi. Allora suo padre e sua madre erano giovani e anche ingenui e, in nessuna circostanza, furono anche solo sfiorati dal dubbio che un figlio anziché un “arpione lanciato verso il futuro” potesse, invece, diventare un’ancora che, una volta che è stata issata a bordo, ha la forza e la capacità di trascinare con sé strascichi dal fondale del passato. No, non lo sapevano né lo immaginavano. Forse perché, quei due, non “avevano mai avuto davvero il tempo di osservare il mondo con gli occhi di un neonato”…
Riprendendo un verso di Rilke, “Ogni angelo è tremendo”, appunto, nel 2013 Susanna Tamaro ha consegnato ai lettori la sua autobiografia in forma romanzata, ripercorrendo gli anni della sua infanzia, dell’adolescenza fino all’età adulta, fino alla Tamaro autrice del bestseller Va’ dove di porta il cuore e delle opere successive. E ne vien fuori il ritratto di una infanzia triste, fatta di dolore, di solitudine, il malinconico dipinto di una bambina perennemente insonne che, per intere ore, piangeva apparentemente senza motivo. L’autrice espone, senza remore, il suo mondo sempre minaccioso e la sua visione del mondo esterno, anch’esso terribilmente non protettivo, minaccioso anch’esso. E, infine, quel dolore, quelle assenze, quei pianti, quella solitudine, quelle fragilità che, dall’infanzia, si incollano alla pelle, si trasformano, senza sparire del tutto, in forza, in cambiamento. In opportunità. In strade differenti. Da un lato, indubbiamente è un viaggio introspettivo che possiede quasi il sapore di una seduta terapeutica, di cui però ci si sente spettatori invadenti o, comunque non invitati, e che, dall’altro lato, risulta purtroppo confuso, poco omogeneo, spesso ripetitivo e prolisso.