
Un grande amore che implode nel cuore e lo fa ripiegare sempre di più su se stesso. Una bomba devastante che esplode su Nagasaki e brucia in pochi secondi migliaia di persone. Fra questi due scoppi la vita della ventunenne Hiroko Tanaka si frantuma in mille pezzi. Il 9 agosto 1945, nella luce bianca, accecante, fisica, che ha incenerito il suo mondo, si è dissolto anche Konrad, il ragazzo tedesco che avrebbe dovuto sposare. La deflagrazione l’ha risparmiata, ma le ha inciso la memoria nella carne marchiandole a fuoco sulla schiena le tre gru nere disegnate sul kimono che indossava al momento della catastrofe. Hiroko, però, è di quelli che guardano avanti. Due anni dopo lascia il Giappone e arriva a Delhi, dove vivono Elizabeth, la sorella di Konrad, e suo marito James Burton. A casa loro conosce l’indiano Sajjad Ashraf e il suo cuore torna a battere più in fretta. Altrettanto in fretta il mondo cambia un’altra volta intorno a lei. Gli inglesi si preparano a lasciare l’India, sta per nascere un nuovo stato, un “paese per i musulmani”. Hiroko e Sajjjad si trasferiscono a Karachi e il loro lungo e felice matrimonio li accompagna fino agli anni Ottanta, con l’invasione rossa dell’Afghanistan. Da lì la Storia prosegue il suo cammino per arrivare all’11 settembre, facendo intrecciare un’altra volta le storie degli Ashraf e dei Burton, mentre sullo sfondo si profilano celle che sembrano gabbie, tute arancione diventante malauguratamente famose e un carcere di massima sicurezza dove i sospetti terroristi sono detenuti e torturati...
“Come siamo arrivati a questo?”, si domanda un prigioniero di Guantanamo nel prologo di Ombre bruciate, romanzo della pakistana Kamila Shamsie, scrittrice di solido talento e firma di spicco dell’Independent e del Guardian. Eppure, all’attacco alle Torri Gemelle e all’esasperata lotta al terrorismo che ne è derivata si arriva proprio ripercorrendo decenni di conflitti sullo scacchiere internazionale: i musulmani che gli Stati Uniti prima hanno armato e addestrato nei campi dei mujaheddin per combattere i russi, e poi dopo il crollo dell’URSS hanno lasciato a loro stessi, a nutrirsi del proprio odio e del proprio integralismo; gli americani come Harry Burton (il figlio di Elizabeth e James), entrati in buona fede nella CIA, convinti di poter far finire la guerra fredda; ancora prima, il colonialismo britannico e la partizione fra India e Pakistan; e, sempre procedendo a ritroso nel tempo, la seconda guerra mondiale e la bomba sganciata su Hiroshima e Nagasaki. Dal fungo atomico a Ground Zero in quattro tiri senza passare dal via, insomma. Quello di Kamila Shamsie si potrebbe leggere come un j’accuse politico che, addolcendo la pillola con la fiction, tira le somme di oltre cinquant’anni di porcherie a stelle e strisce (peraltro controbilanciate da altrettante porcherie targate falce e martello dei sovietici). A ben vedere, però, a essere inchiodata alla pagina dalla scrittura corposa ed elegante della Shamsie, generosa di sottigliezze e dettagli, incisiva nello scavare i sentimenti, è soprattutto la stupida crudeltà delle guerre, il loro inevitabile ripetersi, il loro cieco cospirare con la casualità. Nonostante tutto, comunque, in Ombre bruciate vince il senso di ottimismo, perchè è la forza vitale di Hiroko a emergere, innescando il concatenarsi degli eventi e facendole scavalcare con leggerezza i meridiani, senza che la sua determinazione sia sfasata dal jet lag di un ingombrante passato. In mezzo a un ciclico ripetersi di sciagure, a un gioco beffardo di scherzi del destino e tragiche fatalità, questa esile e audace giapponese attraversa i continenti andando incontro a un avvenire incerto ma pur sempre possibile, spinta dalle ali invisibili degli uccelli che l’atomica le ha pennellato sulla pelle. Hiroko avanza sicura, non sempre con gioia, ma con speranza. Se il futuro, lasciato in balia della follia degli uomini, è di esito dubbio e di genere neutro, la speranza, con scarso margine di errore, è donna.
“Come siamo arrivati a questo?”, si domanda un prigioniero di Guantanamo nel prologo di Ombre bruciate, romanzo della pakistana Kamila Shamsie, scrittrice di solido talento e firma di spicco dell’Independent e del Guardian. Eppure, all’attacco alle Torri Gemelle e all’esasperata lotta al terrorismo che ne è derivata si arriva proprio ripercorrendo decenni di conflitti sullo scacchiere internazionale: i musulmani che gli Stati Uniti prima hanno armato e addestrato nei campi dei mujaheddin per combattere i russi, e poi dopo il crollo dell’URSS hanno lasciato a loro stessi, a nutrirsi del proprio odio e del proprio integralismo; gli americani come Harry Burton (il figlio di Elizabeth e James), entrati in buona fede nella CIA, convinti di poter far finire la guerra fredda; ancora prima, il colonialismo britannico e la partizione fra India e Pakistan; e, sempre procedendo a ritroso nel tempo, la seconda guerra mondiale e la bomba sganciata su Hiroshima e Nagasaki. Dal fungo atomico a Ground Zero in quattro tiri senza passare dal via, insomma. Quello di Kamila Shamsie si potrebbe leggere come un j’accuse politico che, addolcendo la pillola con la fiction, tira le somme di oltre cinquant’anni di porcherie a stelle e strisce (peraltro controbilanciate da altrettante porcherie targate falce e martello dei sovietici). A ben vedere, però, a essere inchiodata alla pagina dalla scrittura corposa ed elegante della Shamsie, generosa di sottigliezze e dettagli, incisiva nello scavare i sentimenti, è soprattutto la stupida crudeltà delle guerre, il loro inevitabile ripetersi, il loro cieco cospirare con la casualità. Nonostante tutto, comunque, in Ombre bruciate vince il senso di ottimismo, perchè è la forza vitale di Hiroko a emergere, innescando il concatenarsi degli eventi e facendole scavalcare con leggerezza i meridiani, senza che la sua determinazione sia sfasata dal jet lag di un ingombrante passato. In mezzo a un ciclico ripetersi di sciagure, a un gioco beffardo di scherzi del destino e tragiche fatalità, questa esile e audace giapponese attraversa i continenti andando incontro a un avvenire incerto ma pur sempre possibile, spinta dalle ali invisibili degli uccelli che l’atomica le ha pennellato sulla pelle. Hiroko avanza sicura, non sempre con gioia, ma con speranza. Se il futuro, lasciato in balia della follia degli uomini, è di esito dubbio e di genere neutro, la speranza, con scarso margine di errore, è donna.