
Cominciare a lavorare a quindici anni non è semplice, ma bisogna pur mangiare e pagare l’affitto: del resto se non si mangia si muore e se si muore non si conoscerà mai la fine di questo film che si chiama vita. Il lavoro dovrebbe nobilitare l’uomo: non è così quando si devono trasportare sacchi di cemento, martelli pneumatici, smerigliatrici su e giù per seicento metri di scale ripide di una funicolare in costruzione. Mentre a casa i debiti aumentano, sul posto di lavoro potrebbe anche essere tutto più sopportabile se non ci fosse la voce insultante di quell’odioso capocantiere che continua a ingiuriarlo, a percuoterlo, a strigliarlo. Né serve guardarsi intorno se i punti di riferimento sono Bill, uno stakanovista che lavora anche di domenica -e non è normale! quasi quanto non lo è spezzarsi la schiena tutti i giorni per più di otto ore al giorno, oppure Louis, che continua a raccontargli le tristezze di una vita familiare dominata da un padre-padrone sfaticato ma volenteroso con la cinghia. Bisogna solo tapparsi le orecchie e continuare a lavorare, fino all’ultimo minuto di ogni sacrosanta giornata. E poi della settimana, dei mesi, di ogni maledetto anno. Ci sono poi opportunità che si possono cogliere al volo, come un lavoro lautamente ricompensato: peccato che si tratti di un lavoro “sporco”, o meglio che sporca il mondo, smaltimenti abusivi. E il padrone è talmente contento del risultato ottenuto che ti offre un posto fisso, quello che ti fa dimenticare di dover lottare tutti i giorni con l’ansia della fame o dell’affitto. Un posto fisso? No, grazie. Meglio un lavoro precario saltuario, che una vita da schiavi nella routine quotidiana di cantieri disumanizzanti…
Charles Krevigoskji è l’alter ego di Crescenzo Invigorito (Kresh in un racconto), operaio, laureato in legge, praticante avvocato, di umili origini, che trascorre la sua vita fra la fabbrica e la tastiera, nel quartiere dove e nato e di cui condivide gioie e dolori che poi finiscono nei suoi racconti. I racconti di Operai pazzi seguono il filo conduttore di una società impazzita che finalizza tutto al guadagno, al profitto e rende gli uomini schiavi essi stessi del lavoro, del posto fisso. Si passa dalla condanna del caporalato a quella del lavoro sottopagato. La cornice è trasportata per comodità nella working class degli Stati Uniti, probabilmente in omaggio a Charles Bukowski, alter ego di Henry Chinaski, al quale palesemente si ispira per costruzione narrativa e per scelta linguistica. Come nel caso di Bukowski, anche Kresh riporta la vita ai minimi termini, ai valori primitivi della società umana, fatta di affetti e di valori, privi delle ipocrisie e delle incongruenze che circondano l’attuale società. Invigorito, napoletano classe 1976, è già apparso nel panorama letterario con un’altra raccolta di racconti, “L'enorme uccello rosso” (2015), che gli ha fatto meritare una comparsata su Rai Tre, TGR Petrarca, e due volumi di poesia. Non penso che gli si debbano riconoscere meriti sociologici, come vuole Salvatore Cavallo nella rapida prefazione, ma sicuramente è testimone diretto e dissacrante della crisi di valori della società capitalistica che trasforma l’uomo, snaturandone l’indole e frantumandone ogni speranza.