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The Operator

The Operator

Robert “Rob” O’Neill nasce a Butte, Montana, il 10 aprile 1976. Butte è una piccola cittadina di trentamila abitanti che non ha nulla da offrire a un bambino, se non le imponenti e maestose Montagne Rocciose. È proprio lì infatti che O’Neill comincia a modellare il suo fisico, arrampicando e andando in cerca di sentieri con suo padre e suo zio prima e quando compie dodici anni partecipando a una battuta di caccia al cervo che gli vede mietere la sua prima vittima. Quando non è impegnato in escursioni e passeggiate, si dedica anima e corpo al basket e alle ragazze finché, dopo una delusione amorosa culminata con una scenata ridicola, decide che è arrivato il momento di cambiare vita, arruolandosi, nell’estate del 1995, nella marina militare degli Stati Uniti, con l’intento di diventare un Navy SEAL. Inizia così ad allenarsi assiduamente in vista della proibitiva selezione che inevitabilmente taglierà fuori molti aspiranti. O’Neill non è tra questi: passato il “test d’ingresso”, comincia il suo addestramento BUD/S (Basic Underwater Demolition/SEAL), che durerà un anno, al termine del quale avrà spinto il proprio corpo oltre i limiti dell’immaginabile, e sarà pronto ad andare, finalmente, in missione…

Arrivare in fondo alla lettura di The Operator è francamente difficile. La prosa scorre, è chiara e c’è ritmo; anche il racconto è coeso, e ha il grandissimo privilegio di essere narrato in prima persona, da un punto di vista interno, da qualcuno che è stato testimone dei fatti e che quindi riesce a rendere il racconto vivo e pulsante. Un esempio pratico: il capitolo dedicato all’uccisione di Osama bin Laden (2 maggio 2011) – che, diciamocelo, è l’unico valido motivo per acquistare questo libro – è così appassionato e intenso che riesce a competere con le immagini mostrate dal film Zero Dark Thirty (2012), incentrato proprio sui momenti salienti e sull’operazione risultati decisivi per l’eliminazione dell’ex leader di al-Qāʽida. Eppure, portare a termine questa lettura è arduo, perché è l’apice di quella visione, trita, ritrita e superata, secondo la quale gli Stati Uniti di America sono il Paese più grandioso del mondo e le loro missioni in Medio Oriente sono dettate solo ed esclusivamente dalla volontà di “esportare” la democrazia occidentale donandola agli arretrati popoli di quelle zone, e non da interessi economici e geo-politici. Una balla alla quale credono ormai solamente i WASP texani e Robert O’Neill, a quanto pare. E così The Operator si trasforma da un libro-testimonianza a un libro-propaganda, intriso com’è di dicotomie che mettono da un lato il “bene” (l’Occidente, gli Stati Uniti) e dall’altro il “male” (i terroristi, l’Oriente, l’altro); e pieno di frasi preconfezionate che si possono trovare all’interno di una serie-tv di bassa categoria (“gli abbiamo rotto il culo”, “gli ho fatto saltare la faccia”). Ma ciò che forse maggiormente distanzia questo libro dalla possibilità di comprenderlo a fondo è la differenza che intercorre tra l’Italia e gli Stati Uniti nel loro rapporto nei confronti della guerra. Mentre per noi è qualcosa di astratto, inconcepibile e riprovevole, per loro è viva, concreta, avvincente e portatrice sana di valori.