
È il 1992, e nell’ormai ex Jugoslavia è in corso una guerra sanguinaria. È l’epoca che tristemente verrà poi ricordata per avvenimenti quali il massacro di Sjeverin, prima, e il massacro di Srebrenica poi. Tira una brutta aria e la vita pare esser divenuta greve. Una madre e il suo bambino avventurosamente si dipartono dalle natie piagge, e traversando mezza Europa trovano rifugio in Germania. Come accade al solito (poiché si usa - come molti ormai sapranno - ammassare gli immigrati nei sobborghi) i fuggiaschi trovano alloggio nella periferia meridionale di Heidelberg, nel quartiere di Emmertsgrund, dove l’attrazione sociale principale, nonché il miglior luogo di ritrovo per gli adolescenti, pare essere un distributore di benzina... Poi, per qualche istante, è il 2010. Il bambino è ormai un giovane uomo e insegna letteratura tedesca al MIT (sì, proprio la celebre università del Massachussetts) e questo nonostante abbia bighellonato per anni nei dintorni del distributore di benzina a Emmertsgrund e altrove... E poi, ancora, è il 1980: il 4 maggio Josip Broz Tito, l’anziano padre della patria, si spegne in una clinica di Lubiana; per anni nonna Kristina, che nel 2009 inizia a soffrire di demenza, ha tenuto una sua grande immagine attaccata a una parete di casa - forse solo come reliquia di nonno Pero: lui sì, che era un fervente socialista... “Pur vagando per il mondo / per seguire la mia sorte, / ti ho portata nel mio cuore, / sempre cara mi sei stata, / oh, mia patria tanto amata, / Jugoslavia, Jugoslavia!”...
Ha destato qualche polemica, tempo fa, l’opinione di un tal dottor Cingolani, ministro di una sedicente transizione ecologica, secondo il quale non avrebbe più alcun senso, tutto sommato, studiare le guerre puniche. Senza entrare nel merito della questione - non essendo questo peraltro il luogo idoneo - non si può ad ogni modo non constatare quanto pericolosa sia la deriva culturale che infesta la vecchia Europa. Poiché se “Die Welt” - come riporta il risvolto dell’edizione italiana di Herkunft (Origini) - sostiene che Saša Stanišic sia uno dei loro migliori narratori, i casi sono due: o ad Amburgo circolano sostanze psicoattive ignote a noi poveri provinciali, ma che i redattori del giornale tedesco usano in abbondanza; o in Germania la letteratura langue ormai in attesa della morte. Origini vorrebbe essere un romanzo sulle migrazioni e sulla memoria; ma dopo le prime cento pagine il tono va sempre più scadendo in una sorta di stile confessionale-diaristico a tratti persino sgradevole. Vorrebbe passare per un romanzo di formazione che racconta i fatti e misfatti di una famiglia, ma nella migliore delle ipotesi si avvertiranno qua e là affinità con esperimenti fallimentari di alcune letterature recenti (vedi, fra le altre, il nostrano nevro-romanticismo e la dimenticata Isabella Santacroce). Un’opera letteraria, per definirsi tale, deve riferirsi in qualche maniera a un canone; e, chissà, può darsi che sia questo il canone letterario dei prossimi anni, nell’epoca di TikTok, Instagram, e della Green Economy.