
Le migrazioni fisiche di poveri e perseguitati verso le aree ricche del mondo, i cui sistemi economici considerano ancora basilare l’oro, hanno aggiunto un elemento di dolorosa fisicità alla contrapposizione anche cruda che esiste e che, come in generale la sperequazione nella società, è sempre più marcata. Il conflitto è fra i ceti produttivi dei paesi avanzati e le masse arrembanti delle nazioni emergenti, favorito da chi può permettersi il lusso di scegliere il luogo e la modalità della produzione dei beni, reso evidente dalla crisi finanziaria e dalla recessione. Chi nei paesi avanzati ‒ cosiddetti o presunti tali ‒ ha avuto la confusa percezione di essere stato in un certo qual senso messo all’angolo proprio nella società che la sua famiglia ha contribuito nelle generazioni a creare, costruendosi una dignitosa posizione, ha visto nei migranti la concretizzazione del proprio senso di ingiustizia patita. Ma del resto è noto che l’opinione pubblica sia schizofrenica: è fatta in gran parte da depositanti presso le banche che dovrebbero avere tutto l’interesse a che siano particolarmente oculate nel fare credito con le loro sostanze, e che invece, considerando i propri beni come parcheggiati in un luogo più che sicuro, nascosto, inviolabile, lamentano alle suddette medesime banche di non essere generose, per esempio, con le piccole imprese…
Le parole sono importanti, si sa, perché ognuna di esse incarna, rappresenta, esprime e riassume qualcosa che altrimenti, se non ci fosse il vocabolo, non si potrebbe dire, dunque non esisterebbe, che sia un concetto, una definizione, un senso o per esempio una necessità. La collana “Parole controtempo” de Il Mulino pubblica volumi che analizzano sotto ogni punto di vista un lemma che non conosce l’erosione del mutare delle epoche, cambia eppure mantiene sempre un considerevole peso specifico: coraggio, limite, silenzio, pazienza, onore, educazione, frontiere, frugalità, lavoro, perseveranza, cibo e prudenza. E oro, di cui scrive in maniera semplice, chiara, ampia, dotta, competente e approfondita Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni - IVASS. Sembra quasi qualcosa di anacronistico, di legato al passato, a un mondo che non esiste più, nel quale si dava molto più peso al risparmio, alla concretezza, alla tangibilità, alla corrispondenza tra forma e sostanza, tra significante e significato, ben diverso da quello attuale dove tutto è dematerializzato. E invece ancora oggi il mito dell’oro resiste. È un simbolo di ricchezza. Di benessere. Di potere. È il bene rifugio per antonomasia, cui ci si rivolge nei momenti di difficoltà, non si svaluta ed è sempre una risorsa, dà fiducia, lo si potrà sempre scambiare, atavico ma niente affatto simile a un organo vestigiale senza più ormai utilità, coniuga il concetto di bellezza, prestigio, divinità con quello di sicurezza. Ancora oggi l’economia mondiale non si fonda su derivati, futures e bitcoin, ma sui lingotti, preziosi tanto che chi li possiede li mette sotto chiave. Rossi analizza il concetto da ogni prospettiva, e così facendo realizza anche un vivido ritratto della società globale, dei suoi pregi e dei suoi difetti, delle sue paure e ossessioni.