Salta al contenuto principale

Paesaggio dopo la battaglia

Paesaggio dopo la battaglia

Il cielo è plumbeo, le nuvole gonfie vengono spinte velocemente dal vento e lasciano a tratti intravedere dalla finestra la casa bruciata di fronte. Maria è davanti a lui, il suono del grammofono arriva attutito dall’altra stanza, insieme alle chiacchiere divertite delle ragazze e allo scalpiccio dei piedi che ballano a ritmo. Parlano di poesia, lui e Maria, parlano di amore e parlano di loro. Tomasz entra barcollante nella stanza, affiancato dalla moglie, probabilmente incinta, in cerca di vodka. Maria ne approfitta, sa che deve andare perché il principale le ha chiesto di cominciare a lavorare prima, Tadeusz la accompagna fino al cancello, si baciano...Kowalski chiede subito al giovane appena sbattuto all’interno della cella il motivo del suo arresto. Il ragazzo dice che non ha fatto alcunché. Lo invitano a sedersi, lui si mette a guardare quella piccola cella, una cantina buia e ammuffita, la porta incisa di date e nomi; della paglia funge da giaciglio. Il ragazzo ha con sé un soprabito e una Bibbia. Quando gli altri la vedono, lo prendono in giro. Una Bibbia di certo non lo aiuterà, non aiuterà lui, né il tipografo Kowalski, né Matula che si fingeva uomo della Gestapo, né l’impiegato Szrajer: oggi verranno sicuramente a prendere qualcuno... Tra i ventimila di Birkenau hanno scelto proprio lui, insieme ad un’altra quindicina di uomini, per partecipare ai corsi di infermeria. Devono studiare anatomia, curare i malati, dare sollievo ai prigionieri. Vengono così diretti ad Auschwitz, luogo nel quale vi sono molti numeri vecchi che guardano dall’alto in basso i numeri “milionari”...

Forse non tutti conoscono Tadeusz Borowski, giornalista e scrittore polacco, ed è un peccato perché si dovrebbero leggere e studiare le sue opere, così come la sua vita. Io vi consiglio, fin da subito, di rimediare. Non sono racconti facili, né per l’argomento trattato, ovviamente, né per la scrittura: alcune volte è difficile seguire il discorso, molto calato nella realtà, ricco di dettagli precisi e vocaboli che non sono immediatamente intuibili. L’autore, suicida a neppure 29 anni compiuti, parla della quotidianità del campo, del rapporto fra i detenuti, puntando i fari sull’istinto di sopravvivenza di ognuno, sulla necessità di procurarsi cibo in ogni modo, del tentativo fra i prigionieri di farsi strada per cercare di ottenere un posto migliore e avere qualche comodità in più. Non si può spiegare quanto è raccontato, probabilmente non si può neppure capire fino in fondo. Possiamo solo leggere, rileggere e consigliare di leggere, per non dimenticare mai. I racconti presentati e raggruppati con ottimo criterio dalla casa editrice Lindau, scritti e pubblicati in tempi diversi, sono corredati da un glossario redatto dallo stesso Borowski che è un utilissimo vademecum per cercare di orientarsi fra il linguaggio dei detenuti dei campi di concentramento ed è fonte di numerose altre informazioni sulla vita da campo. Non perdetevi la chiusura a fine libro di Polce, curatore dell’opera, il quale dà una chiave di lettura sulle mille e tragiche vite di Borowski e illustra come questi racconti non siano altro che uno sfogo, inutile alla fin fine, del sentimento di impossibilità di vivere con cui l’autore ha convissuto durante e dopo quei tragici anni.