
Sono gli anni Cinquanta e in Italia è il momento del boom economico, della musica nuova che arriva dall'America e della voglia di rinascita dopo le ferite della Seconda Guerra Mondiale. Ma nei piccoli paesi di montagna, lassù in alto, di tutte queste cose non arriva nemmeno l'eco. Tonìn è un ragazzo di tredici anni che deve comportarsi come un uomo mentre suo padre è emigrato in Svizzera. Non capisce una madre sempre troppo severa con lui e che, da un po', si stanca facilmente e non prende le medicine che dovrebbe prendere. I suoi doveri di uomo di casa gli impongono di lavorare nell'orto striminzito e nella vigna, a volte scendere in paese dalla bella Emi per comperare le provviste per i pochi abitanti delle Rive e poi giocare con i suoi due unici amici, Ilario e Gino. Ha sogni, come tutti i ragazzini, anche se misurati con il suo tempo e la sua condizione: che il padre gli porti un orologio, che la madre smetta di sgridarlo...
Romanzo d'altri tempi, forse persino un po' fuori tempo, ma delicato e ben scritto. Bortoluzzi, fedele alla sua amata montagna, scrive di un'epoca lontana e di generazioni che stanno per scomparire del tutto. A leggerlo oggi, sembra quasi di guardare una cartolina per turisti che cercano le malghe in cui comprare il formaggio, ma l'autore ci mette tutta la sensibilità necessaria perché ciò non accada. Complice anche il racconto del duro, durissimo, destino di una madre prima di tutto donna, che deve mandare avanti da sola non solo una casa, ma un mondo intero aggrappato a un crinale e sempre in bilico tra miseria e sopravvivenza. Magari, libri come questo sono un buon metodo per non dimenticarci radici e modi di vivere che, tutto sommato, potremmo dover recuperare e che, nella loro povertà di elementi, mostravano la lotta quotidiana dei piccoli borghi invisibili.