
Palermo. Una primavera degli anni scorsi. Serena Vitale conduceva la normale vita di una mutilata di guerra, era la procuratrice che rappresentava l’accusa nel processo su quei legami fra Stato e Mafia che avevano fra l’altro condotto all’omicidio di un collega poco tempo prima. A Palazzo di Giustizia sul banco degli imputati sedeva anche il ministro Enrico Gambino, concorso nell’associazione e complicità in attentati. Contro di lui pesava la testimonianza di un pentito di Cosa Nostra ex affiliato al clan del boss Pecorella, Marcello Marino, di cui era in corso l’interrogatorio e nella cui “morbida cantilena siciliana tutto suonava uguale, non importava se parlasse di acido usato per sciogliere i cadaveri, di esplosivo mescolato a parti metalliche o del Vangelo di Giovanni, il suo evangelista preferito”. Giunse in aula Wolfgang Widukind Wienecke, reporter investigativo del “Fakt”, interessato alla vicenda di un siciliano condannato in Sassonia per corruzione nella costruzione di ospizi per anziani su un terreno contaminato. Vitale costituiva il suo piano B, se non fosse riuscito a intervistare qualcuno intorno al mafioso di Agrigento che aveva commesso crimini in Germania, avrebbe ripiegato su un ritratto della bella procuratrice, soprannominata “santa di ghiaccio” o, peggio, “zecca rossa, brigatista rossa, giacobina”. Serena (all’anagrafe Santa Crocifissa Vitale) è sempre elegante e curata (ora tornata bionda dopo una lunga adolescenziale parentesi bruna), sembra incurante a minacce e insulti che arrivano, lavora con zelo missionario, attacca ovunque ogni compromesso morale, non ha guardie del corpo, gira con una vecchia Renault, è attratta dal capo del reparto operativo mobile Antonio Romano, vive sola in un lussuoso attico con grande terrazza e lì invita Wolfgang quando le chiede un’intervista. Non che il tedesco si riveli un gran professionista, però continua a “scuficchiare” (pur soffrendo d’allergia) e i guai veri non possono che raggiungerlo…
La giornalista tedesca Petra Reski vive dal 1989 in Italia e dal 1991 a Venezia, ha scritto vari premiati saggi di successo sulla criminalità italiana (con delicate conseguenze giudiziarie) e ora si è dedicata anche al romanzo, questo (2014) è il primo della serie sulla ribelle coraggiosa procuratrice della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che ha visto in quattro anni uscire pure Die Gesichter der Toten e Bei aller Liebe. Per evitare querele e denunce siamo nel campo della fiction, narrazione in terza persona, ora sull’una ora sull’altro; e però la vera trattativa Stato italiano e mafia siciliana degli anni novanta è descritta con cinico realismo e competenza mediatica, le allusioni non sono velate, alcuni fatti e dettagli non sono illazioni. La scrittura è pulita e colorata, le descrizioni da godibile giornalismo d’inchiesta, la denuncia irreprensibile. Non di rado, tuttavia, la cronaca appare un poco melensa, i personaggi stereotipati, le relazioni meccaniche. Se l’obiettivo è chiarirci sulla grande politica vi riesce, meno se l’obiettivo è (anche) appassionarci a una storia di umane passioni, regalandoci qualche effettivo colpo di scena. Lo stesso sesso ne risente (di droga e rock’nroll Serena saggiamente si priva del tutto), tanto più che Paolo Conte per radio ricorda proprio luoghi con fiori azzurri e cielo grigio; e l’Inzolia bianco di introduzione alla piccante serata non viene neppure servito freddo. Vero è che si tratta del romanzo d’esordio e resta la curiosità sia per le successive vicende della protagonista che per la prova stilistica dei casi seguenti.