
Pensare che internet e il mondo dei social network sia un posto completamente libero e democratico è un grossolano errore. Le mosse di ogni utente sono regolate da algoritmi che registrano le preferenze e propongono contenuti e collegamenti affini ai propri gusti. Questo porta alla creazione di ambienti chiusi, formati da persone che si somigliano per idee e visioni sul mondo e che, oltretutto, non accettano nella loro cerchia chi la vede in modo diverso. Un esempio di questa chiusura è rappresentata dai gruppi delle “mamme pancine” nati su Facebook e denunciati per la prima volta dal blogger Vincenzo Maisto, in arte Il Signor Distruggere. Esistono centinaia di gruppi a tema maternità, alcuni ancorati a una visione bigotta del matrimonio, altri nati per dare e trovare informazioni sulla maternità, altri ancora basati sulla solidarietà che deriva dall’essere madri, ma tutti accomunati da alcune caratteristiche: la prima è un’ignoranza di fondo sul tema della sessualità, poi vi è una “iperfemminilizzazione del linguaggio” e un tribalismo molto accentuato. Difatti, le mamme pancine sono solite escludere dal discorso ogni dissenso, ogni opinione diversa da quella unanimemente accolta. Così, le donne che ci tengono a vestirsi bene e truccarsi sono dette “faciline”, chi non ha figli è una “puttana”, le persone più acculturate sono “maestrine”. Alla base di queste dinamiche prettamente social, c’è un substrato culturale che, in Italia, si àncora alla visione tradizionale della famiglia, al considerare il sesso un tabù, un’oscenità che acquisisce valore solo alla luce della procreazione e al ruolo tradizionale della donna…
Da quando Il Signor Distruggere ha cominciato la sua opera di diffusione e denuncia delle “mamme pancine”, si è aperto uno squarcio su una realtà che a molti era oscura. I contenuti che si trovano in questo genere di gruppi sono talmente assurdi che non possono passare inosservati: confessioni hot di mamme che necessitano di un corso di educazione sessuale, condivisione di strane pratiche per aumentare la fertilità o per evitare una gravidanza (ma senza l’uso di contraccettivi), fino all’assurdo scambio di consigli su come utilizzare la placenta dopo il parto o su come creare gioielli con il latte materno. Partendo da queste considerazioni, Cristiana Boido, studiosa delle communities virtuali, ha composto un vero e proprio atlante dei gruppi di mamme sui social (nello specifico Facebook), andando a rintracciare le radici degli atteggiamenti di chiusura e dei contenuti carichi di ignoranza in un fallimento educativo e quindi in un problema che è in primis culturale. L’analisi compiuta dall’autrice parte da un censimento di quelli che sono i gruppi e in una suddivisione in base alla loro natura (genuino aiuto solidale tra mamme, nudo e crudo marketing, rigore cattolico) per poi operare una digressione socio-culturale. I social hanno raggruppato mamme che condividevano interessi e domande, fino a rendere questi gruppi delle vere e proprie tribù, con un territorio (ideologico e identitario) da difendere con aggressività e prepotenza. Quello che Boido evidenzia nel saggio Pancine Fantastiche è che se da un lato ci sono i social che provano a scardinare la narrazione classica della famiglia e del gender role, dall’altra ci sono gruppi come questi che reiterano gli stereotipi di genere in un pericoloso meccanismo di conferma continua, derivante dal confronto con altre mamme che hanno lo stesso identico punto di vista, destinato a restare immutato.