
Un papà che è un’opera d’arte vivente, tutto coperto di tatuaggi dalla testa ai piedi (meno il fondoschiena). Un papà che va e viene, arriva all’improvviso e poi se ne va, non si sa per quanto. Forse un padre così irrequieto e originale non dà un grande senso di stabilità. In compenso, però, ha il dono di narrare storie straordinarie, che prendono spunto dagli stupefacenti tattoo di gorilla ed elefanti, di serpenti e uccelli mai visti, che ricoprono ogni centimetro del suo corpo. Come tutte le storie, anche queste hanno bisogno di un pubblico per diventare vere, ed è il bambino del vulcanico genitore ad ascoltare incantato le avventure del suo papà tatuato. Di quando si è salvato appena in tempo da un gigantesco ragno fatto con scampoli di altri ragni. O di quando un anaconda enorme se lo è inghiottito tutto intero, come la balena di Giona, e lui è riuscito a venir fuori grazie a un provvidenziale starnuto. O della volta che una tigre a due code (anche questa smisurata) rischiava di affettarlo ad artigliate. Allora la testa mozza del suo amico Samsun, che la belva aveva appena decapitato con una zampata, aveva morso l’animale sulla doppia appendice mettendolo in fuga. Non bastano gli affetti domestici a far gettare l’ancora al papà tatuato. Sparisce come un sogno, non è detto che tornerà. A casa restano la moglie, a chiedersi se lui stia bene o se gli sia capitato qualcosa di male, e il figlio, che comincia a guardare il mondo con un pizzico di disinganno. Ora non crede più che sia il suo papà a sistemare la luna nel cielo. Ma è ancora convinto che, nelle notti in cui è lontano, possa metterci qualche stella... In una sarabanda di disegni coloratissimi e di invenzioni scatenate, la coppia Sergio Mora (illustratore) & Daniel Nesquens (scrittore) affascina piccoli e grandi lettori con il surrealismo pop delle figure e la fantasia di un testo che galoppa a briglie sciolte. Non una favola classica, ma un racconto fiabesco in cui le suggestioni del circo si mescolano a qualche eco distorto dei romanzi salgariani. Dev’essere finito un gene del Barone di Münchhausen in questo padre più decorato di un guerriero Maori, che millanta con naturalezza le proprie improbabili imprese. Ma anche Pippi Calzelunghe, che riversa inverosimili fanfaronate nelle orecchie credulone e beneducate di Tommy ed Annika per il puro piacere di sbalordirli, gli ha lasciato la sua eredità di contafrottole (e magari, tra i tatuaggi che non si vedono, potrebbero sbucare impertinenti due treccine rosse). A reggere il gioco di questo meraviglioso bugiardo c’è un figlio incuriosito e complice, che vuole credere all’incredibile. Non gli importa se papà non c’è quasi mai e se alla fine sparisce nel nulla. A un papà che ti sa far viaggiare con l’immaginazione si possono perdonare tante cose. E forse la vera favola è proprio questa.