
Piluccando qua e là tra una ricca selezione di editoriali della serie “La bustina di Minerva” – la rubrica curata da Umberto Eco dal 1985 al 2016 sul settimanale “l’Espresso” – che lo stesso autore ha scelto di raccogliere in volume, il talento attento e curioso dell’autore si sofferma a osservare un consumismo che ci fa acquistare un nuovo modello di telefonino non perché ci appaghi di del precedente, ma perché ci faccia sentire partecipi di una sfrenata orgia del desiderio a cui non si può mancare. Si piega a constatare sull’irrilevanza delle opinioni espresse su Twitter, una sorta di “Bar Sport” di paese in cui ciascuno si sente autorizzato a dire di tutto e di più: dal piccolo possidente che si lamenta di essere vessato dalle tasse al medico condotto amareggiato per non aver ottenuto la cattedra universitaria, da chi si fregia di aver già ingurgitato diversi grappini al camionista che descrive le meravigliose fattezze delle passeggiatrici presenti lungo il raccordo anulare. Per non parlare di Facebook , dove non solo si può pontificare a ruota libera su qualunque tema senza avere competenza o mostrare reverenza, ma dove ci si può perfino concedere il lusso di stendere in pubblico i nostri panni privati. Non manca di riflettere anche sulla diffusa pratica del cattivo impiego della lingua italiana, sull’eccesso d’informazione che crea disinformazione e sull’oblio del passato che fa credere ai giovani che Moro fosse un brigatista, De Gasperi un fascista, Robin Hood un personaggio storico e Churchill uno, invece, nato dalla fantasia di un romanziere…
La prima raccomandazione che ci sentiamo di rivolgere a chi si accostasse a questo libro di Umberto Eco, pubblicato postumo dalla casa editrice da egli stesso fondata insieme con Elisabetta Sgarbi e altri autori all’indomani della nascita del colosso editoriale “Mondazzoli”, è la seguente: separare decisamente la scrittura giornalistica dall’arte letteraria. Sarebbe un grave errore, oltreché un’ingiustizia profonda, confinare la prima in uno spazio gregario rispetto alla seconda. La seconda raccomandazione suona però più o meno così: occorre tenere conto che colui che scrive è un semiologo, un filosofo, un saggista e un romanziere e che tutto ciò proviene da una mente inglobante e totale. Il suo metodo, se esiste, è quello di riuscire a entrare nel labirinto delle nostre più sottili contraddizioni con un’arguzia sopraffina ma mai incline al moralismo, di non sottrarsi al richiamo dell’analisi degli avvenimenti politici con l’empito culturale di un intellettuale devoto alla religione dell’umanesimo, senza mai apparire legato a un mito dell’impegno. Le sue ipostasi analitiche rivelano un calmo ardore, l’esercizio di una profonda e seria coscienza critica, di un ermeneuta capace di farci comprendere il nostro presente in tutte le sue più complicate manifestazioni. Se non vi siete premuniti assumendolo di volta in volta in bustina, correte a ora comprare il libro: vi sarà di grande beneficio.