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Pasolini su Pasolini

Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday

Le origini piccolo borghesi di Pier Paolo Pasolini, i suoi rapporti con il padre (“(…) nei suoi confronti ero in uno stato di tensione permanente e addirittura violenta”) e la madre (“Per molto tempo ho pensato che l’insieme della mia vita erotica ed emozionale fosse il risultato del mio amore eccessivo, quasi mostruoso per mia madre”), il suo sentimento religioso (“Credo di essere il meno cattolico fra tutti gli italiani che conosco: non ho fatto nemmeno la cresima, e me la svignavo sempre dalle lezioni di catechismo”), il rapporto con la Poesia (“Ho incominciato a scrivere poesie quando ho imparato a scrivere”), il rapporto con il dialetto friulano (“(…) in realtà non è il mio dialetto natio, (…) non l’ho mai parlato io stesso e l’ho imparato solo dopo che avevo incominciato a scrivere poesie in quel dialetto”), il fascismo (“(…) ero nato nell’era fascista, in un mondo fascista, e non mi accorgevo del fascismo, come un pesce non si accorge di trovarsi nell’acqua”), il liceo e l’università a Bologna (“Mi ci sono fatto alcuni degli amici più stretti come Francesco Leonetti e Roberto Roversi. Anni dopo fondammo insieme la rivista «Officina» e nacquero sodalizi duraturi”), la sua tesi su Pascoli (“(..) non erano tempi in cui si potesse fare una tesi su qualche poeta più moderno: insomma scelsi il male minore”), l’adesione al Partito Comunista e lo studio del marxismo (“(…) una volta che ebbi deciso di schierarmi al fianco dei comunisti contadini friulani, il resto fu facile. Col tempo, lessi i testi e diventai marxista. Ma deve tener presente che ogni italiano è marxista, così come ogni italiano è cattolico. (…) Cosa abbastanza sorprendente, la nuova sinistra in Italia sta spuntando sul terreno più contadino e cattolico, un terreno che a prima vista potrebbe sembrare il più conservatore. Don Milani è l’esempio più ovvio di un tipo di nuova sinistra che si avvicina alla Rivoluzione Culturale in Cina”), la povertà (“(…) trovai un posto come insegnante in una scuola a Ciampino e andai ad abitare a Ponte mammolo, che è una borgata alla periferia di Roma. Dovevo fare un viaggio terribilmente lungo, e guadagnavo solo 27.000 lire al mese”), gli esordi come sceneggiatore cinematografico (“Naturalmente, non potevo certo scegliere con chi lavorare; era il contrario, casomai. Ma sono stato molto fortunato, e ho sempre potuto lavorare con gente come si deve”)…

Nell’aprile 1968 a Roma – nell’arco di due settimane – lo storico irlandese Jon Halliday intervista Pier Paolo Pasolini nel suo studio, tra le 2 e le 4 del pomeriggio. Domande e risposte vertono sulla sua vita, la sua poesia, la sua letteratura, il suo cinema, la sua visione del mondo. L’intervista – commissionata ad Halliday dal British Film Institute – si svolge in italiano, perché Halliday ha vissuto dal 1963 al 1966 nel nostro Paese (dove resterà in seguito fino al 1976 per insegnare all’Università della Calabria) e solo successivamente viene da lui tradotta – e adattata – per essere pubblicata (senza una lettura preventiva da parte di Pasolini) sul mercato anglosassone, dove uscirà con lo pseudonimo di Oswald Stack. Il Pasolini del 1968, alla vigilia dell’uscita su “L’Espresso” della epocale poesia Il PCI ai giovani!, non era ancora il guru al centro del cupo maelström sociale, culturale e politico italiano dell’alba dei Settanta, e viveva un momento problematico della sua carriera (non scriveva più poesie, aveva da poco esordito come drammaturgo suscitando la più totale indifferenza nella critica, stava iniziando a considerare il lavoro cinematografico “più che un’alternativa a quello letterario, una sostituzione ad esso”, politicamente era sempre più amareggiato sulla situazione italiana e flirtava con il terzomondismo). L’intervista di Halliday, malgrado alcuni discutibili aspetti – non esistono più i nastri originali e per la edizione italiana ci si è dovuti limitare a tradurre la versione inglese uscita nel 1969 per Thames and Hudson – è la prima di una serie di importanti interviste “autobiografiche” di Pasolini, strumenti essenziali da una parte per i lettori e gli studiosi per conoscere una serie di aspetti privati o di giudizi su questo o quello e per definire il percorso artistico di un autore così poliedrico e dall’altra per Pasolini stesso allo scopo di definire sempre meglio la sua percezione di sé e l’immagine da proiettare all’esterno.