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Pentcho

pentcho

Alexander Citrom ricorda la prima volta che vide il “Pentcho”; da settimane non faceva altro che immaginarlo. Il giorno previsto per l’approdo del “Pentcho” a Bratislava, Alexander era rimasto “ritto in piedi sulla banchina a scrutare l’ansa del Danubio dalla quale sarebbe spuntato”. Il “Pentcho” era lo strumento per realizzare il suo folle piano: “fuggire dai nazisti portando con un battello quattrocento dei suoi dal cuore dell’Europa in Palestina, con documenti falsi e un visto di ingresso fasullo per il Paraguay”. Alexander Citrom era per tutti “quel pazzo ebreo […] che vuole navigare il Danubio con un bagnarola fino al Mar Nero […] e poi attraversare il Bosforo, affrontare il Mediterraneo dalle grandi onde di cobalto e alla fine, come un nuovo profeta, portare la sua gente al sicuro, in Eretz Israel”. Zoltan Schack è l’uomo che per la prima volta ha messo gli occhi sul “Pentcho”. Il piroscafo si stava sgretolando “pezzo dopo pezzo, tra morsi di ruggine, perdite d’olio e puzza ammorbante di sentina”; era assolutamente inadeguato ad affrontare la navigazione in mare, forse poteva andare bene per navigare lungo il fiume. Ma era il solo piroscafo che potevano permettersi. Ivan Markevic è il comandante del “Pentcho”. Lili Ickovic è il medico cui è assegnato il difficile compito di scegliere: di decidere chi far salire a bordo, e chi no per evitare il rischio di malattie. Simche Hauser è uno dei passeggeri: sale sul “Pentcho” insieme alla moglie Kirsch, tenendo per mano sua figlia Lia: “sulle spalle, cariche come basti da mulo, tutti i ricordi di un vita”…

L’odissea del “Pentcho” termina nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, in Calabria. Antonio Salvati ci racconta la storia di un viaggio drammatico; una storia vera portata alla luce da uno studioso calabrese, Enrico Tromba, e ricostruita dall’autore ponendo al centro della narrazione le vite di ciascun viaggiatore. Al di là del ‘cosa’ è raccontato, però, una delle cose più interessanti del libro è il ‘come’ è raccontato. Il romanzo è strutturato in cinque parti: La Partenza; Il Danubio; Il Mare Aperto; Ferramonti, Calabria; La Fine del Viaggio. In ogni capitolo, un personaggio si presenta, e presenta la propria vita; racconta al lettore chi fosse prima del viaggio, e chi sta diventando durante la traversata. Seppure con un registro di scrittura e con tematiche assolutamente diversi, Pentcho ricorda da un canto Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia; e, dall’altro, quel particolare genere letterario cui appartengono, tra le più recenti pubblicazioni, Olive Kitteridge di Elizabeth Strout e Il tempo è un bastardo di Jennifer Egan. Ricorda il primo nell’idea di fondo che ciascuna esistenza sia di per sé straordinaria, e i secondi nella dinamica della narrazione, composta da una serie di racconti interconnessi. Il susseguirsi delle voci narranti, difatti, non si limita a moltiplicare i punti di vista sulla vicenda che le accomuna: ciascuna voce, in fondo, racconta, non tanto e non solo del viaggio, ma di sé in rapporto al viaggio. La percezione del lettore è di trovarsi di fronte a una carrellata di biografie che si intrecciano intorno a un luogo che è anche un tempo, e un moto. Pentcho è un romanzo composto da microstorie che hanno per sfondo la Storia: quella che ci riguarda tutti.