
583 milioni. Quasi il doppio della popolazione degli Stati Uniti d’America, dall’Alaska alle Hawaii. È il numero, in verità impressionante, degli account falsi disattivati da Facebook, che pure in merito agli algoritmi ha molto da lavorare (ma si sa che tutto è perfettibile a questo mondo) solo nel primo trimestre del 2018. Perché dare vita a un profilo falso? Le motivazioni possono essere tante e varie: meri scopi commerciali, diffusione di bufale e notizie inventate, influenze di voto, pulsioni voyeuristiche, stratagemmi bislacchi per aumentare le metriche quantitative di una pagina, bullismo, furto di identità. In certi casi però anche l’etnografia digitale per poter svolgere al meglio il suo compito richiede la costruzione di profili-civetta non riconoscibili per accedere a particolari community: tuttavia si tratta di eccezioni per scopi di studio che non influenzano le persone né interferiscono con loro. Com’è possibile riconoscere un profilo fasullo per starne alla larga? Se un indizio può essere un caso, due una coincidenza e tre – come disse, pare, Agatha Christie, che certo la sapeva lunga assai – una prova, qui di sintomi ce ne sono ben otto: nome poco credibile (antidoto: ricerca su Google o simili), informazioni scarse, poco aggiornate e quasi o del tutto inesistenti, profilo molto recente, sbucato dal nulla o quasi ex abrupto, foto condivise curatissime, editate come immagini da rivista patinata, volto familiare (anche in questo caso può aiutare la ricerca per immagini: magari è la faccia di un attore…), amici con profili discutibili, spesso volgari, interazioni pressoché nulle, like o following incoerenti (un vegano che ama la mortadella è quantomeno un irrisolto, un po’ come i gay omofobi…). Insomma, a meno che non stiate indagando sul fenomeno degli haters - che spesso sono alla base di vere e proprie tragedie, che colpiscono, come sempre, chi è più fragile, ingenuo, puro e indifeso - come fa Selvaggia Lucarelli, il consiglio è di tenersi alla larga da chi è dentro tribù indecenti come Sesso, Droga e Pastorizia...
C’è chi va nei boschi a osservare uccelli e chi sul web osserva non solo talvolta il medesimo oggetto, o quantomeno ciò che può definirsi con lo stesso lemma, se declinato con ironia un po’ greve, ma in generale, prescindendo dalla parte per il tutto, le persone, i loro comportamenti, i piatti che mangiano, la rappresentazione della propria vita che vogliono dare, con lo scopo nemmeno troppo velato, spesso, di farsi invidiare. Fa, insomma, anziché birdwatching, people watching, ossia con occhio verista osserva e descrive le popolazioni che esistono nel mondo digitale. Del resto siamo fatti per comunicare, per stare insieme, per confrontarci, per discutere, per dialogare, per condividere, per non lasciarci andare alla solitudine, che spaventa: è anche talvolta per questo, per tenere un diario, per non dimenticare, per avere l'illusione che a qualcuno importi di noi (se riflettessimo su quanta poca attenzione invece nella realtà gli altri ci dedicano impareremmo la libertà di non essere schiavi del loro presunto giudizio…) e di quello che noi pensiamo, che condividiamo contenuti sui social, teniamo diari online, ci facciamo selfie, che non sono sempre solo mera vanità, ma anche rivendicazione del diritto all'esistenza (digitale, certo, ma scinderla dal reale non ha più senso, oggi che lo smartphone è un prolungamento di noi, i nostri comportamenti online sono parte del nostro quotidiano, dietro le foto profilo ci sono di norma persone in carne, ossa ed emozioni che postano contributi ancor prima d’alzarsi dal letto…), cerchiamo persone con i nostri stessi interessi, una rete, una comunità come ce n’erano una volta, talvolta correndo il rischio di incappare in un profilo falso, nella migliore delle ipotesi soltanto una "marchetta", ossia un influencer prezzolato che, usando come trampolino di lancio, di norma, un'avvenenza cui è arduo resistere, fa più che altro promozione a prodotti (di vario genere...), nella peggiore qualcuno che ha davvero brutte intenzioni. Sono i rischi che si corrono, del resto, quando in generale nella vita ci si mette in gioco, sono comportamenti umani, e il web è la nuova agorà: in questo agilissimo testo, saggio, vademecum, esegesi e molto altro, al di là del genere, dotto e ricco di fonti e spunti ma mai cattedratico, divulgativo, ben scritto, chiaro, approfondito, interessante, non solo per chi lavori nel marketing, nella comunicazione o nella digital strategy, che prende per mano con sicurezza il lettore e lo conduce in un viaggio avvincente, Alice Avallone, scrittrice, saggista, ricercatrice, con sguardo da netnografa, ossia esperta di una etnografia adattata alla complessità del mondo sociale contemporaneo, è un metodo di analisi antropologica capace di dare strumenti per meglio capire la vita al tempo della cultura tecnologicamente mediata, come i veristi che traevano spunto dal microscopio e dalla macchina fotografica, non a caso simbolo di Instagram, divertente – se adoperata, come tutto, cum grano salis: il mezzo di per sé non è né buono né cattivo, è un tramite e basta - rassegna di foto (non solo di gattini e pettorali scolpiti, che fanno schizzare in alto il numero degli apprezzamenti) e per molti anche strumento di contatto e lavoro, racconta il nostro mondo e regala a tutti gli utenti un briciolo di consapevolezza in più. E si sa, come la prudenza, anch’essa non è mai troppa.